È il 1982. L'Italia del "grande vecio" Bearzot ha appena vinto i Mondiali in un tripudio nazional-popolare che ha pochi eguali nella storia. Dai jukebox dei bar escono le note di "Heat Of The Moment" (Asia), "No One Like You" (Scorpions) ed "Eye In The Sky" (Alan Parsons Project): 100 lire a canzone, mentre si sorseggia una Coca-Cola tra amici e ci si sente liberi. Ma liberi sul serio. In fondo, basta davvero poco per essere felici, un concetto che molti sembrano dimenticare sulle frequenze martellanti della "Dea" Rete. In quegli anni, il vostro scribacchino inizia pure ad interessarsi al mondo dell'hard'n'heavy, fulminato dai primi videoclip di Iron Maiden e compagnia tonante. Tuttavia la mia iniziazione vera e propria al rock contemporaneo dell'epoca viene segnato da un album in particolare: "Making Movies" dei Dire Straits. "Tunnel Of Love" e "Romeo & Juliet" restano tuttora tra le canzoni più ascoltate in tutta la mia vita, e ricordo ancora che le classifiche settimanali di vendita di Sorrisi E Canzoni, barometro dei gusti giovanili (e non), decretano il tripudio commerciale riservato a Mark Knopfler e compagnia. Sullo sfumare della torrida estate (ebbene si, faceva caldo anche allora) di Pablito-gol, esce l'attesissimo nuovo LP del gruppo inglese, diventato in pochi anni un vero punto di riferimento per tutti i nostalgici del classic rock. Di coloro che amano pezzi lunghi (gli 8 minuti della succitata "Tunnel Of Love", ad esempio), che non si fanno spaventare da assoli di chitarra prolungati o da repentini cambi di umore. È la maestria inconfondibile di Knopfler a renderli "brani da classifica", non viceversa. Se l'esordio omonimo (1978) presentava tracce di fulminante bellezza come "Down To The Waterline" o "Sultans Of Swing", il secondo "Communique" (1979) sembrava intenzionato a smussare le asperità dell'esordio, in favore di un approccio sostanzialmente più pacato. Forse la sola "Lady Writer" pareva ingaggiare una partita ad armi pari con l'appeal del suo predecessore, ma il resto del 33 giri non ne possedeva l'impatto. Poi arrivò la definitiva consacrazione di "Making Movies" (1980), ma questa ormai è storia. Della musica, intendo.
Proprio in concomitanza col tour promozionale di un album così "big", ed anche perché Knopfler inizia a "flirtare" con sintetizzatori e rari sprazzi prog, entrano stabilmente in formazione il chitarrista ritmico Hal Lindes ed il tastierista/pianista Alan Clarke. Così i Dire Straits arrivano alla registrazione di "Love Over Gold" in conformazione di quintetto, dando adito a varie speculazioni sui magazine più importanti dell'epoca, tra cui una presunta "commercializzazione" dopo il raggiungimento del successo su larga scala. Sapete come risponde Knopfler? Con un disco di 41 minuti circa, composto da soli cinque brani: due sul lato A, tre su quello B. Ma, soprattutto, con una traccia iniziale di oltre 14 primi, che quasi doppia la già considerevole durata di "Tunnel Of Love". Dice un autorevole opinionista di Rolling Stones riguardo a "Love Over Gold": "nel pop si è soliti considerare la musica un prodotto, mentre i Dire Straits osano mettere l'arte davanti all'airplay radiofonico". Definizione perfetta proprio per l'apripista "Telegraph Road", nella quale quei 14 minuti succitati passano in un battito di ciglia. Sembra che Knopfler abbia concepito questa "suite" durante un viaggio interminabile sul tour bus nei pressi di Detroit, durante lo spostamento tra una città e l'altra. Quell'eterna lingua d'asfalto, sempre dritta, sempre uguale a sé stessa, anziché suscitare noia, stimola la mente di Mark, che prova ad immaginare cosa ci fosse stato prima. Ed allora arrivano quei versi meravigliosi che raccontano di "chiese che arrivano prima delle scuole", di "avvocati che accorrono per scrivere le regole della neonata comunità", come "un fiume che scorre per sempre" e che non può più essere fermato. Il brano, a parere di chi scrive, è il più grande capolavoro mai uscito dalla pur fervida penna di Knopfler: un incipit propiziatorio, melodie sinuose ed epiche, un intermezzo di poetica strumentale, ed un finale a dir poco travolgente, tra assoli di chitarra, pianoforte battente, ed un sound di batteria che evoca "tuoni e fulmini", come la copertina stessa. Pazzesca. "Telegraph Road" sfida l'ascoltatore medio del pop & rock dell'epoca, restaurando una vigorosa estetica prog su linee armoniche certamente lineari e fruibili, ma che non risparmiano una goccia di impegno intellettuale. Coraggiosi? Forse è pure poco.
Ed a proposito di temerarietà, anche la scelta del primo 45 giri sfiora l'autolesionismo: trattasi di "Private Investigations", una song per sola chitarra acustica, piano e voce, che crea un clima da mystery certamente affascinante, ma onestamente ben poco in linea con un periodo storico in cui la parola d'ordine sembra divertimento. Il compromesso viene raggiunto in fase di realizzazione del videoclip di accompagnamento, che subisce un taglio di circa un minuto rispetto alla versione dell'LP. Forse per bilanciare le cose, il secondo singolo diventa "Industrial Disease", col suo incededere spensierato (nonostante il tipico titolo da denuncia sociale), le cui tastiere "dressed to party" anticipano di qualche anno la gioiosa "Walk Of Life" da "Brothers In Arms" (1985).
La title-track è ben lontana dal poter essere definita "memorabile", rivelandosi una semi-ballad che antepone l'eleganza (incontestabile) dell'aspetto "descrittivo" all'efficacia melodica. Più forma che sostanza, insomma: esattamente l'esatto contrario dell'atto finale "It Never Rains", che verrà ricordata in special modo per merito delle basiche keyboards di un Alan Clarke sulle orme di "Like A Rolling Stone" (Dylan). "Love Over Gold" vale "Making Movies"? In linea di massima, e come "media" compositiva, risponderei negativamente: mancano peraltro impennate anthemiche come quelle di "Expresso Love" e "Solid Rock", sacrificate sull'altare di un taglio stilistico più autoriale. Eppure, se i Dire Straits al massimo delle loro potenzialità volete esplorare, la "strada del telegrafo" dovrete imboccare!
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