Passa ai contenuti principali

SCORPIONS "SAVAGE AMUSEMENT" ((1988)



Quattro anni separano l’uscita di “Savage Amusement” rispetto al suo celebrato predecessore “Love At First Sting”, diventato nel frattempo uno dei best seller assoluti degli Scorpions.

Molti, moltissimi per la media temporale degli anni ’80.

Certo, a loro “scusante”, bisogna anche dire che, in the meantime, il gruppo tedesco ha trovato il modo di pubblicare il doppio dal vivo “World Wide Live”, volto a celebrare il loro magico momento di popolarità, grazie al boom commerciale di canzoni che sono passate alla storia come “Rock You Like A Hurricane”, “Big City Nights”, “Still Loving You”, “No One Like You” o “Can’t Live Without You”.

E’ ancora un periodo storico in cui le uscite live hanno un senso artistico, indirizzato a glorificare (ed ovviamente immortalare) un determinato periodo storico, non semplicemente a colmare un vuoto creativo: un titolo su tutti, l’iconico “Live After Death” degli Iron Maiden. Squadra che vince non si cambia, quindi “Savage Amusement” arreca per l’ennesima volta la firma del produttore Dieter Dierks presso l’omonimo e leggendario studio, sito in quel di Colonia. Rispetto a “Love At First Sting” cambia radicalmente l’approccio alla batteria, frequenziata su un “drum beat” simile (anche se leggermente appesantito) a quello dei Def Leppard di “Hysteria”, che nel frattempo avevano meritatamente fatto sfracelli di vendite negli States e non solo, fino a diventare uno dei titoli simbolo della decade di riferimento. Ciò che invece non muta assolutamente è il songwriting del gruppo, improntato ad un hard rock melodico a volte sconfinante nel pop metal, un approccio particolarmente in voga all’epoca.

D’altronde, la formula è vincente, e quando hai una vena creativa che ti accompagna, sarebbe una mossa suicida e/o masochista stravolgerla. “Don’t Stop At The Top” spazza via ogni dubbio immediatamente, con la sua ritmica incalzante, e quella melodia di chitarra che accompagna Klaus Meine a declamare le sue lyrics nel consueto, delizioso “kraut english”. Il primo singolo “Rhythm Of Love” spinge il piede su atmosfere ancora più radiofoniche, alternando parti da soffusa ballad ad impennate elettriche a ridosso del refrain, che lo rendono il perfetto esemplare sonoro con incontestabili competenze da airplay diffuso. Lo spirito di adattamento ai cambiamenti in corso continua imperterrito grazie a “Passion Rules The Game”, un po’ la versione edulcorata di “No One Like You”, dove le famose chitarre “urlate” di quel classico vengono sostituite da eleganti fraseggi: non è un caso che il brano occupi la terza casella in scaletta, proprio come l’illustre predecessore in “Blackout”, quasi a voler ribadire la continuità stilistica del “progetto”, al netto degli evidenti aggiornamenti di produzione.

Molti fans dell’epoca storcono il naso soprattutto quando ascoltano per la prima volta le inflessioni “robotiche” di “Media Overkill”, anche se i cinque tedeschi risolvono poi la “questione” con un ritornello di rara efficacia. “Walking On The Edge” contiene folgoranti sprazzi di classe tipicamente class metal, ed in tal senso non si fatica a capire come mai la band avesse pensato a Don Dokken come possibile sostituto di Klaus Meine, quando quest’ultimo fu operato alle corde vocali nel 1981. Il lato B viene aperto da “We Let It Rock…You Let It Roll”, l’unico pezzo con reminiscenze melodiche degli Scorpions anni ’70, in particolare per quei cori “obliqui” che ricordano da vicino canzoni come “He’s A Woman, She’s A Man”, ma ci pensa subito “Every Minute Every Day” a riportare l’album sui binari del mainstream. La veloce e selvaggia “Love On The Run” nasce col chiaro intento di replicare i fasti di “Dynamite”, così come “Believe In Love” si propone di perpetrare la tradizione delle epiche ballatone alla “Still Lovin’ You”/“When The Smoke Os Going Down” che tanta fortuna commerciale hanno portato al gruppo.

Giusto per restare in tema anni ’80, “Savage Amusement” è diventato nei decenni una perfetta Polaroid dell’epoca, per nulla sbiadita e/o ingiallita dalla polvere del tempo.


ALESSANDRO ARIATTI











Commenti

Post popolari in questo blog

INTERVISTA A BEPPE RIVA

C'è stato un tempo in cui le riviste musicali hanno rappresentato un significativo fenomeno di formazione personale e culturale, ed in cui la definizione "giornalista" non era affatto un termine usurpato. Anzi, restando nell'ambito delle sette note, c'è una persona che, più di tutte, ha esercitato un impatto decisivo. Sia nell'indirizzo degli ascolti che successivamente, almeno per quanto mi riguarda, nel ruolo di scribacchino. Il suo nome è Beppe Riva. E direi che non serve aggiungere altro. La parola al Maestro. Ciao Beppe. Innanzitutto grazie di aver accettato l'invito per questa chiacchierata. Per me, che ti seguo dai tempi degli inserti Hard'n'Heavy di Rockerilla, è un vero onore. Inizierei però dal presente: cosa ha spinto te e l'amico/collega storico Giancarlo Trombetti ad aprire www.rockaroundtheblog.it? Ciao Alessandro, grazie a te delle belle parole. L'ipotesi del Blog era in discussione da tempo; l'intento era quello di ritag...

WARHORSE "RED SEA" (1972)

Sul blog abbiamo già parlato del primo, omonimo album dei Warhorse, band nata dall'ex bassista dei Deep Purple, Nick Simper. Il loro debutto, datato 1970, esce in un periodo abbastanza particolare dove, il beat prima ed il flower power poi, si vedono brutalmente scalzati da un suono ben più burrascoso e tumultuoso. Il succitato Simper, pur avendo fatto parte "soltanto" degli albori (i primi 3 dischi) dei Deep Purple, vede la sua ex band spiccare letteralmente il volo con il rivoluzionario "In Rock", contornato a propria volta da altre perniciose realtà quali Led Zeppelin o Black Sabbath. "Warhorse" suonava esattamente come il giusto mix tra l'hard rock "Hammond-driven" di Blackmore e soci, e le visioni dark di Toni Iommi. Il 33 giri, nonostante l'eccellente qualità di tracce tipo "Vulture Blood", "Ritual" e "Woman Of The Devil", non vende molto. Anzi, contribuisce al rimpianto di Simper di essere stato sc...

LABYRINTH: "IN THE VANISHING ECHOES OF GOODBYE" (2025)

Se quello che stiamo vivendo quotidianamente, ormai da una ventina d'anni, non fosse un fottutissimo "absurd circus"; se esistesse una logica a guidare le scelte della mente umana, divenuta nel frattempo "umanoide"; se insomma non fossimo nel bel mezzo di quel "Pandemonio" anticipato dai Celtic Frost quasi 40 anni fa, i Labyrinth dovrebbero stare sul tetto del mondo metal. Nessuna band del pianeta, tra quelle dedite al power & dintorni, può infatti vantare, neppure lontanamente, una media qualitativa paragonabile ai nostri valorosi alfieri dell'hard'n'heavy. Certo, hanno vissuto il loro momento di fulgore internazionale con "Return To Heaven Denied" (1998), della cui onda lunga ha beneficiato pure il discusso "Sons Of Thunder" (2000) che, ricordiamolo ai non presenti oppure ai finti smemorati, raggiunse la 25esima posizione della classifica italiana. Poi la "festa" terminò, non in senso discografico, perché...