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ANDI DERIS "COME IN FROM THE RAIN" (1997)



Comunque la si pensi sulla disputa "meglio Andi Deris o meglio Michael Kiske", al primo va l'indubbio merito di avere resuscitato una band di potenziali cadaveri ambulanti. Questa risulta infatti la non invidiabile situazione degli Helloween nel post "Chameleon" (1993): poi, che il succitato album non sia assolutamente quel disastro per cui viene consegnato alla storia, è tutto un altro discorso. Quando il popolo sovrano decreta il proprio pollice verso, non c'è ragione che tenga: bisogna prenderne atto e voltare pagina. Ed anche il più rapidamente possibile. Questo fanno gli Helloween, pubblicando l'album della ritrovata coerenza "Master Of The Rings" prima (1994), ed il disco della rinnovata popolarità "Time Of The Oath" poi (1996). In tre soli anni, dalle stalle nuovamente alle stelle, col merito che appare quasi totalmente ascrivibile al biondo ex cantante dei Pink Cream 69.

Il suo talento compositivo, estremamente versatile in ogni situazione artistica, è infatti l'asso nella manica che permette agli Helloween di rivendicare credibilità e consenso pressoché unanimi. Se dal punto di vista strettamente vocale appare palese che, tra Kiske e Deris, non può mai esistere partita (a favore ovviamente di Michael), è altrettanto vero che le parti si capovolgono quando, a parlare, è la predisposizione al songwriting. A conferma di tale assioma, dall'ardua confutazione, contribuisce ulteriormente l'album solista di Andi intitolato "Come In From The Rain", uscito nel 1997 tra un "Time Of The Oath" ed un "Better Than Raw" (1988). Due dischetti non proprio qualunque, giusto per capire l'antifona. Ovviamente parliamo di un lavoro che accantona momentaneamente l'universo power metal, facendo nascere il sospetto che si tratti di materiale che il vocalist tedesco aveva originariamente preparato per i Pink Cream 69, prima di essere coscritto dagli Helloween in piena crisi esistenziale.

Prodotto dallo stesso Deris e da Oliver Noack, il disco è prevedibilmente più improntato sull'hard rock, e da canzoni come "Think Higher" o "The Wait" si capisce immediatamente da dove provengono rispettivamente le idee portanti di una "Why?" ("Master Of The Rings") o di una "Wake Up The Mountain" ("Time Of The Oath"). Come ogni artista legato a doppia mandata ai favolosi anni 80, non può mancare una naturale predisposizione verso le ballad ad effetto, che si concretizza in episodi immediatamente memorizzabili tipo la magnifica title-track oppure la dolcissima "Good Bye Jenny", senza dimenticare le struggenti melodie di "Somewhere, Someday, Someway" e "Now That I Know This Ain't Love". Certo, la resa sonora non è nemmeno minimamente paragonabile alla potenza "arena rock" sprigionata dai maggiori esponenti del genere, ma se si parla di qualità nuda e cruda, la penna di Andi non teme molti confronti tra i concorrenti dei Nineties. Dall'iniziale "House Of Pleasure", ferrata da un riff di chitarra particolarmente ficcante, alla conclusiva "1000 Years Away", che ricorda da molto vicino "Take Those Tears" dei "suoi" Pink Cream 69, l'ugola di Deris spadroneggia con sicurezza e maestria un genere che, in fondo, è sempre stato pane per i suoi denti. Unico elemento non "stonato", ma sicuramente avulso dal contesto, è lo speed metal di "The King Of 7 Eyes", nella quale compaiono in qualità di ospiti gli Helloween quasi in formazione completa, esattamente nelle persone di Michael Weikath e Roland Grapow alle chitarre, e di Markus Grosskopf al basso. Un omaggio forse dovuto al gruppo che gli sta dando notorietà, fama, e tanti bei soldini, ma che risulta il classico pesce fuori d'acqua.

I fans delle "Zucche" amburghesi gradiscono la digressione sul tema di "Come In From The Rain", con la certezza di aver perso un cantante unico ed inimitabile (Kiske), ma allo stesso tempo di aver guadagnato un interprete ed un compositore di indiscutibile valore.



ALESSANDRO ARIATTI




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