Il successo di "The Razors Edge" (1990), che riporta gli AC/DC nelle zone più calde delle classifiche dai tempi di "For Those About To Rock", costringe il gruppo ad un tour pressoché infinito, culminante nell'edizione del Monsters Of Rock 1991. Nel frattempo, le gerarchie in campo hard'n'heavy cambiano radicalmente, con il grande pubblico che viene ipnotizzato dalle nenie del grunge per almeno due/tre stagioni, costringendo anche i colossi del genere a prendersi lunghe pause. O di riflessione, oppure di semplice opportunità, sperando di rivedere la luce in fondo al tunnel. Gli AC/DC capitalizzano l'enorme successo di "The Razors Edge", trascinato in particolar modo dall'inno universale "Thunderstruck", che è diventato, nel corso dei decenni, una sorta di mantra recitativo da parte di tutti i rocker sparsi per il pianeta. Nonostante la partecipazione alla soundtrack del film Last Action Hero (con Arnold Schwarzenegger), grazie al brano "Big Gun", la genesi del nuovo album firmato AC/DC è la più lunga gestazione registrata fino a quel momento. Cinque anni, in un periodo in cui i dischi si vendono ancora in abbondanza, sono infatti pressoché un record. "Ballbreaker" esce nell'autunno 1995, anticipato dal singolo "Hard As A Rock", e soprattutto vede il ritorno di Phil Rudd alla batteria dal 1983, dopo i seri diverbi con Malcolm Young. Non si sa se voluto o meno, il disco vede i fratelli Young abbandonare le sirene delle contaminazioni hair metal, preferendo un suono più asciutto e bluesy, mettendo nel mirino "Powerage" come ideale modello di riferimento artistico. Ovviamente il cantante è il "cartavetrato" Brian Johnson e non Bon Scott, con la sua ugola da fumoso e malfamato club, quindi vanno fatte le dovute proporzioni. Però, grazie anche alla produzione "tutto arrosto e niente fumo" da parte del guru Rick Rubin, che ha appena resuscitato persino il totem americano Johnny Cash, "Ballbreaker" riporta gli AC/DC ad una forma estetica pre "Back In Black". Se il già menzionato singolo "Hard As A Rock" risulta l'unico episodio dall'appeal dichiaratamente commerciale e "commerciabile", il cupo blues "Boogie Man" riporta il quintetto australiano su argomentazioni così "primitive" da rispolverare le emozionanti declinazioni di "The Jack" e "Ride On". E quando Brian intona quel lancinante "misunderstoooood", sembra che sputi anche le tonsille, per l'immane sforzo di una laringe ormai devastata da 15 anni ininterrotti di high voltage rock'n'roll. "The Furor" contestualizza il riff di "Thunderstruck" (e di "The Razors Edge") in una situazione più sobria, mentre "Cover You In Oil" gioca su quei celeberrimi doppi sensi a sfondo sessuale, da sempre appannaggio delle lyrics degli AC/DC. Musicalmente siamo dalle parti di "Let's Get It Up" e, per la proprietà transitiva, della ben più nota "You Shook Me All Night Long", con tutti gli annessi e connessi. Convincono anche la selvaggia "Hail Caesar", l'hard rock senza fronzoli di "The Honey Roll" e "Burnin' Alive", peraltro in un contesto temporale ancora poco ricettivo alla valorizzazione vintage, come da trend attuale. "Ballbreaker" raggiunge una rinfrancante quarta posizione negli USA, superando i due milioni di copie vendute, a dimostrazione di un "dialogo" tra band e pubblico che non si è mai interrotto. C'è qualcuno che si stupisce del folle sold-out ottenuto dal "Power Up" tour? Forse un ripassino di STORIA, che non si fermi al gossip "nero" di Emperor o ai Mayhem, sarebbe consigliabile.
ALESSANDRO ARIATTI
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