All’indomani del tour di “Seventh Son Of A Seventh Son”, gli Iron Maiden iniziano a perdere i primi pezzi. "The first in line" ad abbandonare la nave è il chitarrista Adrian Smith, subentrato a Dennis Stratton in occasione della registrazione di “Killers”. Fino a quel momento non ci sono “rumors” che fanno presagire alla defezione di chicchessia, ma evidentemente tour logoranti e canzoni ripetutamente suonate ogni sera fino alla nausea (di chi le esegue, non certo di chi le ascolta), incrinano rapporti che sembrano saldissimi. Inizialmente si crede che, a determinare la defezione di Smith, sia il suono sicuramente più addomesticato e commerciale di “Seventh Son Of A Seventh Son”, con l’ingresso stabile di tastiere che tendono a creare atmosfere dall’appeal quasi cinematografico ma che, al contempo, smussano la spigolosità non solo di un “Killers”, ma anche di un “The Number Of The Beast” o di un “Powerslave”. Col senno di poi, si può tranquillamente affermare che non sono affatto quelle le reali motivazioni. Adrian fonda infatti il proprio gruppo denominato A.S.A.P., completato da altri due chitarristi, nelle persone di Andy Barnett (già negli Urchin assieme a Smith) e Dave Colwell, dal bassista Robin Clayton, dal tastierista Richard Young e, dulcis in fundo, dal signor Zak Starkey alla batteria. Quest’ultimo, in realtà, altri non è che il figlio di Ringo Starr: Un fatto che la dice lunga sulla fama di cui possono godere gli Iron Maiden a livello mondiale, ma soprattutto in patria. Riguardo alle famigerate “divergenze artistiche”, l’album “Silver And Gold” dimostra proprio l’opposto di quello che viene vociferato nei corridoi delle redazioni. Niente retromarcia verso il tagliente heavy metal in stile “Killers”, ma una collezione di canzoni che strizzano un occhio, e forse tutt’e due, ad un suono radiofonico molto prossimo all’AOR. L’iniziale “The Lion”, ad esempio, è un dinamico anthem sulla scia dei Surgin di “When Midnight Comes”, con le tastiere a punteggiare una ritmica incalzante, e la calda voce di Adrian che supporta una linea melodica di immediata fruibilità. Il “nuovo corso” di Smith viene ben immortalato pure da una title-track al velluto, scelta come primo singolo e videoclip, dove ambientazioni notturne si sovrappongono a delicate armonizzazioni. Il titolo del lavoro evoca poco umilmente materiali preziosi come "argento ed oro", eppure non si pensi ad una sterile ostentazione di sfarzo, perché effettivamente canzoni sopraffine quali "Down The Wire" o "After The Storm" ne giustificano il lessico. La band suona sicura e smaliziata, quasi si trattasse di una realtà artistica con un decennio alle spalle, e questo lo si nota anche da piccoli dettagli. Gli arrangiamenti, ad esempio, non hanno nulla da invidiare a navigati "AORsters" come i connazionali FM o Shy, oppure ai pomposi Magnum di fine anni 80 ("Kid Gone Astray" e "Fallen Heroes" li ricordano abbastanza palesemente). Mi sembra giusto restare in terra britannica perché, comunque, "Silver And Gold" punta sicuramente ad un conglomerato melodico di immediata visibilità, eppure mantiene una vena malinconica e struggente molto differente dai "big bangers" americani del settore. Dopo i deludenti risultati di vendita, gli A.S.A.P. verranno sciolti nell'indifferenza generale nonostante, appunto, la qualità di un album che avrebbe meritato una platea di ammiratori ben più nutrita. Prima del suo ritorno da figliol prodigo negli Iron Maiden in occasione di "Brave New World", Smith formerà gli Psycho Motel, quartetto dalle spiccate tendenze alternative rock con due dischi all'attivo ("State Of Mind" è decisamente buono), per poi partecipare come ospite su "Instant Clarity", il primo album solista di Michael Kiske. Nulla di paragonabile a "Silver And Gold", sinceramente.
ALESSANDRO ARIATTI
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