Passa ai contenuti principali

BLACK JESTER "DIARY OF A BLIND ANGEL" (1993)



C'è stato un periodo, nemmeno troppo breve, in cui l'Italia si è ritrovata all'avanguardia del progressive metal internazionale. La cosa non deve nemmeno stupire, in fondo, perché negli anni 70 il Belpaese è stato una fucina di gruppi che si ispiravano alle gesta di artisti che hanno letteralmente scritto la storia del rock progressivo anglosassone (Genesis, Gentle Giant, ELP, King Crimson), rielaborandolo sotto un'ottica meno politically correct e più "mediterranea". Mi riferisco ovviamente a band come Le Orme, PFM, Il Banco, New Trolls, che hanno al tempo ottenuto risultati commerciali confortanti, ma anche ad altri "oscuri passeggeri" underground quali Il Balletto Di Bronzo, The Trip e Quella Vecchia Locanda. Quando l'heavy metal ha iniziato a tingersi di colori progressive, nulla di più naturale che fosse proprio l'Italia ad offrire le proposte più originali e profondamente radicate nel culturama nazionale. Anche se magari non sempre gratificate da un conseguente riscontro di vendite adeguate al valore. Una di queste band risponde sicuramente al nome di Black Jester, dalla provincia di Treviso, quintetto dai connotati certamente internazionali per quanto concerne l'utilizzo della lingua inglese, ma assolutamente autoctoni nella raffinata proposta melodica ed esecutiva. Dopo un demo-tape che si fa apprezzare nei canali di diffusione delle etichette discografiche indipendenti, i Black Jester ottengono un contratto con la tedesca WMMS, per la quale pubblicano nel 1993 il loro esordio ufficiale, intitolato "Diary Of A Blind Angel". La copertina è bellissima, e raffigura un angelo solitario come Il Piccolo Principe di Saint-Exupéry, mentre contempla l'orizzonte in muta rassegnazione, perso tra pensieri oscuri e cupa immaginazione. "Night Voices" spezza subito gli indugi, con le tastiere di Nick Angel che procedono all'unisono con la chitarra di Paolo Viani: arriva poi la voce di Alex "The Jester" D'Este a perpetrare l'incantesimo di un suono senza tempo. Dimenticate i cantanti tipici del genere, che sparano note altissime anche quando la materia non lo richiederebbe: la voce di D'Este è quasi un "sussurro" di un essere alieno, che genera sofferenza, paura, ammirazione di fronte all'ignoto. Avete presente Aldo Tagliapietra delle succitate Orme? Se la risposta è affermativa, avrete sicuramente capito il tipo di approccio al canto di "The Jester". Quasi più da "strumento aggiunto" che da sterile esibizionista di tecnica. Un meraviglioso arpeggio di chitarra apre "The Tower And The Minstrel", con le tastiere che stendono un prestigioso tappeto per le melodie intonate da D'Este: il brano si sviluppa pacatamente fino all'esplosione di squarci di synth, a cui fanno seguito un intermezzo di carattere neoclassico, ed un finale accelerato, dove la sezione ritmica, composta da Gil Teso (basso) ed Alberto Masiero (batteria), accantona le "fini diciture" prog per spingere da autentica metal band. La title-track viene inaugurata da un riff che sembrerebbe più "classico", ma i Black Jester ci riservano immediatamente altre emozionanti sorprese, tra arpeggi fatati, tastiere oniriche, ed armonie vocali tanto tristi quanto splendide. "Time Theater" vede salire sul proscenio le tastiere di Nick Angel, per sfociare poi in "King Of Eternity", brano spettacolare che non disdegna nemmeno un delizioso viaggio nel barocco. Con "Mother Moon" siamo dalle parti del capolavoro assoluto: il cantato di D'Este diventa sempre più rarefatto, quasi impalpabile, un sussurro verso Madre Luna nel cuore della notte, che sembra diventare una disperata implorazione di aiuto nel maestoso refrain. La band segue il proprio frontman con altrettanta grazia, assecondando l'atmosfera della canzone con arrangiamenti eleganti ma, al tempo stesso, misurati e mirati. La funzionalità strumentale nei confronti delle varie songs è un'altra delle tante, lodevoli qualità dei Black Jester, caratteristica non molto comune alla maggior parte dei gruppi prog metal di quegli anni, invero spesso inclini all'esasperazione fine a sé stessa. "Black Jester Opera" fa calare il sipario sull'album, condensando tutte le esaltanti prerogative di una band che rappresenta un "unicum" nel panorama europeo, alzando il vessillo dell'Italia e rivendicandone il ruolo di culla culturale. Almeno per quanto concerne il genere in questione. Il quintetto trevigiano replicherà l'anno successivo con l'altrettanto magnifico "Welcome To The Moonlight Circus", sul quale spiccherà una fantastica cover di "Uno Sguardo Verso Il Cielo" de Le Orme, "inglesizzata" col titolo "Glance Towards The Sky", per concludere gloriosamente la propria epopea con "The Divine Comedy". Nel maggio 2020, purtroppo ci lascia Alex D'Este, stroncato da un'emorragia cerebrale. Questa recensione, nel suo piccolo, è dedicata proprio a lui.

ALESSANDRO ARIATTI 






Commenti

Post popolari in questo blog

INTERVISTA A BEPPE RIVA

C'è stato un tempo in cui le riviste musicali hanno rappresentato un significativo fenomeno di formazione personale e culturale, ed in cui la definizione "giornalista" non era affatto un termine usurpato. Anzi, restando nell'ambito delle sette note, c'è una persona che, più di tutte, ha esercitato un impatto decisivo. Sia nell'indirizzo degli ascolti che successivamente, almeno per quanto mi riguarda, nel ruolo di scribacchino. Il suo nome è Beppe Riva. E direi che non serve aggiungere altro. La parola al Maestro. Ciao Beppe. Innanzitutto grazie di aver accettato l'invito per questa chiacchierata. Per me, che ti seguo dai tempi degli inserti Hard'n'Heavy di Rockerilla, è un vero onore. Inizierei però dal presente: cosa ha spinto te e l'amico/collega storico Giancarlo Trombetti ad aprire www.rockaroundtheblog.it? Ciao Alessandro, grazie a te delle belle parole. L'ipotesi del Blog era in discussione da tempo; l'intento era quello di ritag...

WARHORSE "RED SEA" (1972)

Sul blog abbiamo già parlato del primo, omonimo album dei Warhorse, band nata dall'ex bassista dei Deep Purple, Nick Simper. Il loro debutto, datato 1970, esce in un periodo abbastanza particolare dove, il beat prima ed il flower power poi, si vedono brutalmente scalzati da un suono ben più burrascoso e tumultuoso. Il succitato Simper, pur avendo fatto parte "soltanto" degli albori (i primi 3 dischi) dei Deep Purple, vede la sua ex band spiccare letteralmente il volo con il rivoluzionario "In Rock", contornato a propria volta da altre perniciose realtà quali Led Zeppelin o Black Sabbath. "Warhorse" suonava esattamente come il giusto mix tra l'hard rock "Hammond-driven" di Blackmore e soci, e le visioni dark di Toni Iommi. Il 33 giri, nonostante l'eccellente qualità di tracce tipo "Vulture Blood", "Ritual" e "Woman Of The Devil", non vende molto. Anzi, contribuisce al rimpianto di Simper di essere stato sc...

LABYRINTH: "IN THE VANISHING ECHOES OF GOODBYE" (2025)

Se quello che stiamo vivendo quotidianamente, ormai da una ventina d'anni, non fosse un fottutissimo "absurd circus"; se esistesse una logica a guidare le scelte della mente umana, divenuta nel frattempo "umanoide"; se insomma non fossimo nel bel mezzo di quel "Pandemonio" anticipato dai Celtic Frost quasi 40 anni fa, i Labyrinth dovrebbero stare sul tetto del mondo metal. Nessuna band del pianeta, tra quelle dedite al power & dintorni, può infatti vantare, neppure lontanamente, una media qualitativa paragonabile ai nostri valorosi alfieri dell'hard'n'heavy. Certo, hanno vissuto il loro momento di fulgore internazionale con "Return To Heaven Denied" (1998), della cui onda lunga ha beneficiato pure il discusso "Sons Of Thunder" (2000) che, ricordiamolo ai non presenti oppure ai finti smemorati, raggiunse la 25esima posizione della classifica italiana. Poi la "festa" terminò, non in senso discografico, perché...