Non è un mistero per nessuno l'istrionismo di Bruce Dickinson, specialmente dopo aver sfidato a viso aperto il "tiranno" Steve Harris all'indomani di "Seventh Son Of A Seventh Son". Una rappresaglia in punta di fioretto, per la maggior parte, oppure brandendo saltuariamente un'ideale spada: come quando ebbi occasione di essere ospitato sul suo tour bus durante il tour di "Skunkworks". Dopo lo show di spalla agli Helloween (oggi sembra un'ipotesi da fantascienza), l'icona inglese del metal venne personalmente a cercarmi, guidato fedelmente dal suo manager. Non vedeva l'ora di rilasciare un'intervista, sia per tentare la promozione di un album non propriamente fortunato, sia per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. "Il nuovo Iron Maiden? A piece of shit" disse riferendosi a "The X Factor": come inizio conversazione, niente male davvero. La carriera solista di Bruce, al netto dell'esordio "Tattooed Millionaire", più dedito all'hard rock che al metal, ha segnalato cadenze artistiche spesso diverse e, a volte, contrastanti. Chi non ricorda il ritorno al Maiden sound (o quasi) di "Accident Of Birth", dopo le divagazioni "alternative" del già citato "Skunkworks" e del poliedrico "Balls To Picasso"? E chi può dimenticarne la sublimazione ne "L'Alchemico Matrimonio" poco dopo, ovvero la perfetta simbiosi tra l'epica degli Iron e la plumbea pesantezza dei Black Sabbath? Diverso il discorso per "Tyranny Of Souls" (2005), uscito dopo la fatidica reunion, che non ha potuto godere di un'adeguata cassa di risonanza live, causa impegni con gli eterni Maiden. Per sua stessa ammissione, la nuova opera "The Mandrake Project" è frutto di una gestazione molto lunga (si parla addirittura di una decina d'anni), ed in tale ottica non stupisce affatto la varietà sciorinata in bello stile dai dieci brani qui presenti. Affiancato dallo storico collaboratore e chitarrista Roy Z, Dickinson si contorna di altri personaggi dal curriculum prestigioso: uno su tutti il "nostro" Maestro Mistheria alle tastiere che, vedremo in seguito, si rivelerà spesso l'arma vincente per l'arrangiamento di diversi brani. L'apertura viene riservata al primo singolo "Afterglow Of Ragnarok", con quel riff corposo che profuma tanto di Black Sabbath, un riferimento selettivo piuttosto frequente per le coordinate soniche di "The Mandrake Project". Bruce protende la sua prodigiosa ugola verso un cantato al "ribasso", rimpiazzato poco dopo dal solito stile enfatico a ridosso del bridge, il quale conduce a sua volta ad un refrain dall'impatto epico. Il pezzo funziona principalmente proprio per questo "moto perpetuo", che riserva continui mutamenti d'umore, mantenendo sempre alta l'attenzione. "Many Doors To Hell" è un perfetto incrocio tra Scorpions e Deep Purple, con Mistheria che inizia a far sentire il peso specifico delle sue keyboards, ancora tenebrose protagoniste nella teatrale "Rain On The Graves", il cui chorus permette a Dickinson di spiegare le ali verso quelle vette che è solito toccare con gli Iron Maiden. Siamo dalle parti di "Bring Your Daughter To The Slaughter", ed è probabile che Steve Harris gli abbia detto in privato, esattamente come in quell'occasione: "sei un bastardo"! I più scafati ascoltatori non faranno fatica a riconoscere i D.A.D. di "No Fuel Left For The Pilgrims" nell'intreccio di melodie chitarristiche che caratterizza "Resurrection Men"; e quindi, per la proprietà transitiva, le arie Morriconiane degli Spaghetti Western. Lo scalpitante break Sabbathiano conferma tuttavia la tendenza di un disco che non cerca mai la soluzione semplice. "Fingers In The Wounds" cambia nuovamente scenario, con il suo hard rock sinfonico magnificamente punteggiato dalle tastiere di Mistheria: Dickinson abbassa i toni ma non la grinta, e l'intermezzo orientaleggiante è un vero gioiello. Da "If Eternity Should Fail" ad "Eternity Has Failed" è un attimo, basta togliere il condizionale ed è fatta: ovviamente si parla del medesimo brano (per chi scrive il migliore) contenuto in "The Book Of Souls" degli Iron Maiden, ma questa versione suona come ciò che Bruce avrebbe probabilmente sempre voluto. Più arrangiata, più pomposa, e con uno stacco di synth 80's oriented del Maestro assolutamente micidiale. La selvaggia "Mistress Of Mercy" ricorda molto da vicino "Freak", e rappresenta probabilmente l'episodio più "ovvio" dell'intero album; ma è solo un attimo, prima che "Face In The Mirror", con il suo respiro alla "Tears Of The Dragon", ristabilisca un livello di sicura eccellenza. Stupendo, ancora una volta, il lavoro di Mistheria, che accompagna la voce di Dickinson attraverso le "gocce" di una litania dai toni dolci e crepuscolari. L'apice assoluto viene toccato da "Shadows Of The Gods": inizio da ballad, refrain rigoglioso, ed un intermezzo che viene condotto da un polverizzante assalto alla Black Sabbath (di nuovo!). Chi voleva provare nuove sensazioni epico-oscure alla "The Chemical Wedding" troverà pane per i propri denti. "Sonata (Immortal Beloved)" chiude i giochi nel segno del progressive, ed i più attenti "followers" della scena hard'n'heavy riscontreranno qualche similitudine (non si sa quanto/se voluta) con gli apprezzati Anathema del periodo Pink Floyd-iano: mi riferisco in particolare agli anni di "Alternative 4"/"Judgement". Come si può intuire dai riferimenti stilistici, "The Mandrake Project" è un'opera ad ampio raggio davvero sorprendente, che conferma la versatile personalità di Bruce Dickinson in veste solista. Almeno con lui, l'Eternita non sembra affatto aver fallito.
ALESSANDRO ARIATTI
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