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DARE "BLOOD FROM STONE" (1991)


Nonostante una performance di classe cristallina, unita ad una personalità spiccata che forse cozza con certi stereotipi, "Out Of The Silence" (1988) non spacca le classifiche come avrebbe potuto (e dovuto). È così che Darren Wharton decide di modificare il tiro artistico della sua creatura post Thin Lizzy. Sto ovviamente parlando dei Dare, forti di un contratto pre-grunge con la potentissima major A&M Records, la quale preferisce ovviamente far prevalere i dati numerici sulla qualità. È il 1991 quando esce "Blood From Stone": il sound del gruppo si "asciuga", privilegiando l'impatto frastornante delle chitarre e relegando in un piccolo angolino le tastiere, con il produttore "maestro" Keith Olsen a riqualificare le frequenze in modo adeguato. Nulla da dire, infatti, sul livello eccellente del suo lavoro, tuttavia c'è un "ma" grande quanto una casa. Perché la forza dirompente di "Out Of The Silence" è legata, come si diceva poc'anzi, ad un approccio tutto sommato non omologabile della materia trattata, ben poco accostabile all'hair metal come normalmente percepito dal pubblico. Darren non manca all'appello del songwriting, ci mancherebbe; "Blood From Stone" sarebbe un piccolo classico se fosse uscito dalla mano di qualche altro interprete del settore. Ma dov'è finita l'innocenza celtic rock di "The Raindance"? Oppure la malinconia, ovattata dalle onde del mare della Cornovaglia, di una "King Of Spades"? Non vi è traccia, purtroppo, il tutto al netto di una scrittura comunque importante, che esalta più la chitarra di Vinny Burns rispetto alle calde tonalità espresse dalla voce di Wharton. Non nego che, ai tempi della sua uscita (di poco antecedente l'epocale Monsters Of Rock del 1991), almeno per quanto mi riguarda l'album rappresentò una cocente delusione proprio in questo senso. Una delusione successivamente mitigata dallo scorrere del tempo, che mi ha fatto comunque rivalutare l'intrinseca bellezza di canzoni sulle quali ci sarebbe, in realtà, ben poco da ridire. Anzi, potremmo in qualche modo considerare "Blood From Stone" come l'antenato degli imminenti Ten, coi quali i Dare avranno in comune sia la sei corde del già menzionato Vinny Burns che il drumkit di Greg Morgan. A dire il vero, almeno sulle prime due tracce, ovvero "Wings Of Fire" ed il singolo "We Don't Need A Reason", l'impronta di "Out Of The Silence" non scompare totalmente, anche se si sceglie di farlo rappresentare dall'irruenza delle chitarre piuttosto che dalla ridondanza necessaria delle tastiere. È invece in canzoni tutto sommato elegantemente standard, tipo "Surrender" o "Live To Fight Another Day", che le sirene Bon Jovi-ane annegano pesantemente le rare peculiarità della band in un oceano di cliché. Per onestà intellettuale, occorre invece rimarcare che una ballad come "Lies" è talmente bella da far sbiadire persino il miliardario autore di "Slippery When Wet", però la sostanza del discorso generale non cambia di una virgola. Anzi, viene ribadita da "Breakout", "Cry Wolf" e "Wild Heart", sicuramente efficaci eppure già largamente sentite "altrove". La chiusura è affidata al potenziale tormentone "Real Love", dove i Dare dimostrano che la loro vera vocazione non è tanto rappresentata dall'ostentazione muscolare, quanto dal dispiegamento di forza sulle ali della melodia. "Blood From Stone" insegue vanamente la gloria di un genere che sta per essere sepolto sotto i fendenti di Seattle, ed infatti vende pochissimo. Wharton si prenderà una lunga pausa finché, nel 1997, "Calm Before The Storm" non ristabilirà i corretti valori in campo, con una cifra compositiva maggiormente orientata sul versante emozionale. Facendo, peraltro giustamente, gridare al capolavoro.


ALESSANDRO ARIATTI






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