Passa ai contenuti principali

FATE "FATE" (1984)



Siamo nel 1984. I Mercyful Fate vengono dalla pubblicazione di “Don’t Break The Oath”, un disco che fa storcere il naso ad alcuni puristi, intransigenti estimatori del suono ossianico di “Melissa”. Sembra incredibile a raccontarlo oggi, ma vi assicuro che molte riserve accompagnano l’accoglienza riservata al suddetto album, definito da diversi critici, anche di un certo spessore, troppo “spettacolare” ed esageratamente d’impatto. King Diamond incassa le critiche e si butta a capofitto sulla composizione del nuovo album, radunando i propri musicisti per confrontarsi sulle idee e sul materiale. Provate ad immaginare la scena: Hank Shermann si presenta al cospetto del “Re” con le canzoni che sostanzialmente andranno a far parte di “Fate”. Ricordo ancora che il vocalist danese, in un’intervista per un importante magazine, disse a tal proposito: “quando Hank mi fece sentire i pezzi che aveva preparato, pensavo che volesse giocarmi uno scherzo. Non era così: quella era la direzione che lui avrebbe voluto intraprendere, quindi non ci restò altro da fare che separarci”. Certo sarebbe stato divertente sentire Diamond cimentarsi nella tonalità class/party metal dell’album di cui stiamo parlando, ma questa è una storia che, ovviamente, non avrebbe mai potuto verificarsi. Shermann prende atto delle insanabili “divergenze artistiche” (e stavolta è proprio il caso di dirlo) ed in quattro e quattr’otto mette in piedi la sua band, denominata appunto Fate, lasciando chiaramente da parte il Mercyful. Oltre al chitarrista, fanno parte del gruppo il cantante Jeff Limbo, il bassista/tastierista Pete Steiner ed il drummer Bob Lance. Evidentemente le canzoni, King a parte, piacciono nell’ambiente, visto che il neonato quartetto riesce a strappare un bel contratto con una major potentissima come la EMI. Ed in effetti “Fate” gira che è un piacere: dall’AOR vellutato di “Love On The Rox”, song talmente bella che verrà ripresa con ancora maggior cura per gli arrangiamenti in occasione del terzo LP “Cruisin’ For A Bruisin’”. La voce di Limbo è un mix tra il timbro “nasale” del Vince Neil dell’epoca e quello adolescenziale di Mike Tramp, ed è proprio la sua immacolata ugola ad erogare il combustibile giusto a tracce spensierate, ma qualitativamente eccelse, come “Fallen Angel” e “Downtown Toy”. Il lato più heavy viene sviscerato con l’opener della side B “(She’s Got) The Devil Inside”: ovviamente nulla a che vedere con possessioni demoniache di casa Mercyful Fate, ma la classica storiella della femme fatale che fa perdere la testa al protagonista. Shermann e soci faranno ancora meglio nel successivo “A Matter Of Attitude” e nel già citato “Cruisin’ For A Bruisin’”, tuttavia il seme per un cambio di rotta così repentino viene innegabilmente sparso proprio da questo album. In particolare dall’hair metal di “Rip It Up”, con quel riff che profuma di Ratt, ma anche dalla più atmosferica “Victory”, il cui testo tratta dello spauracchio atomico, autentica spada di Damocle sul futuro dei teenager negli anni 80. Le residuali tentazioni street, ancora presenti in “Danger Zone”, “Do You Want It” e “We’re Hot”, verranno definitivamente “sedate” dai prossimi lavori in studio, in favore di un sound più maturo ed AOR oriented. Tuttavia “Fate” rimane ancora oggi un disco da godere tutto d’un fiato.


ALESSANDRO ARIATTI 




Commenti

Post popolari in questo blog

IRON MAIDEN "VIRTUAL XI": DIFESA NON RICHIESTA

Se gli Iron Maiden sono la band heavy metal più unanimamente amata nell'universo, altrettanto unanime (o quasi) sarà la risposta alla domanda su quale sia il loro album peggiore. Per la solita storia "vox populi, vox dei" si concorderà a stragrande maggioranza su un titolo: "Virtual XI". Il fatto è che questo è un blog, neologismo di diario personale; e caso vuole che, al sottoscritto, questo album è sempre piaciuto un sacco. Ma proprio tanto! Reduci dal discusso "The X Factor", oggi sicuramente rivalutato da molti eppure all'epoca schifato da tutti, Steve Harris e soci confermano ovviamente Blaze Bayley, lasciando appositamente in secondo piano la vena doom-prog del 1995. Due anni e mezzo dopo, tempo di mondiali di football, ed una realtà che inizia ad entrare con tutte le scarpe nella "web zone": col loro consueto talento visionario, gli Iron Maiden prendono tre piccioni con una fava. 1) Il Virtual sta ovviamente a rappresentare la perc...

INTERVISTA A BEPPE RIVA

C'è stato un tempo in cui le riviste musicali hanno rappresentato un significativo fenomeno di formazione personale e culturale, ed in cui la definizione "giornalista" non era affatto un termine usurpato. Anzi, restando nell'ambito delle sette note, c'è una persona che, più di tutte, ha esercitato un impatto decisivo. Sia nell'indirizzo degli ascolti che successivamente, almeno per quanto mi riguarda, nel ruolo di scribacchino. Il suo nome è Beppe Riva. E direi che non serve aggiungere altro. La parola al Maestro. Ciao Beppe. Innanzitutto grazie di aver accettato l'invito per questa chiacchierata. Per me, che ti seguo dai tempi degli inserti Hard'n'Heavy di Rockerilla, è un vero onore. Inizierei però dal presente: cosa ha spinto te e l'amico/collega storico Giancarlo Trombetti ad aprire www.rockaroundtheblog.it? Ciao Alessandro, grazie a te delle belle parole. L'ipotesi del Blog era in discussione da tempo; l'intento era quello di ritag...

LABYRINTH: "IN THE VANISHING ECHOES OF GOODBYE" (2025)

Se quello che stiamo vivendo quotidianamente, ormai da una ventina d'anni, non fosse un fottutissimo "absurd circus"; se esistesse una logica a guidare le scelte della mente umana, divenuta nel frattempo "umanoide"; se insomma non fossimo nel bel mezzo di quel "Pandemonio" anticipato dai Celtic Frost quasi 40 anni fa, i Labyrinth dovrebbero stare sul tetto del mondo metal. Nessuna band del pianeta, tra quelle dedite al power & dintorni, può infatti vantare, neppure lontanamente, una media qualitativa paragonabile ai nostri valorosi alfieri dell'hard'n'heavy. Certo, hanno vissuto il loro momento di fulgore internazionale con "Return To Heaven Denied" (1998), della cui onda lunga ha beneficiato pure il discusso "Sons Of Thunder" (2000) che, ricordiamolo ai non presenti oppure ai finti smemorati, raggiunse la 25esima posizione della classifica italiana. Poi la "festa" terminò, non in senso discografico, perché...