Quando si parla di Judas Priest, vige ormai una brutta abitudine: paragonare tutto a "Painkiller". Grandissimo album, solo un pazzo negherebbe la qualità di un lavoro non discutibile per svariati motivi. Tuttavia, almeno per quanto mi riguarda, le opere superiori a quel disco non si contano sulle dita di una mano. Mi riferisco ad un "Sad Wings Of Destiny", per esempio, monumentale esempio di proto-doom epico. Oppure a "Stained Class", ideale ponte di collegamento tra le brume 70's ed i colorati fasti Eighties. Per non parlare di "manifesti" del Verbo come "British Steel", "Screaming For Vengeance" e "Defenders Of The Faith", autentici punti fermi della decade HM per eccellenza, ai quali si sarebbero poi ispirati migliaia di artisti dediti al genere. Qui mi fermo, ma ci sarebbe da argomentare anche su altre celeberrime uscite quali "Sin After Sin" e "Killing Machine", che non temono confronto praticamente con nulla. Molti pensavano che l'eccellente "Firepower" avrebbe rappresentato il testamento definitivo dei Judas Priest, ritenendo praticamente impossibile replicarne la brillantezza e, perché no, pure la freschezza compositiva, nuovamente potenziata dall'apporto del produttore storico Tom Allom. Mai fare i conti senza l'oste, soprattutto se lo "chef" è un pluristellato di fama mondiale. Chi riteneva inevitabilmente estinta l'ispirazione, anche a causa dei vari problemi di salute incorsi in questi anni a Halford, Tipton e Faulkner, dovrà ricredersi. Gioco forza, perché "Invincible Shield" ha tutti i crismi del miracolo. Non intendo addentrarmi in previsioni da indovino, ma se questa prova da studio dovesse veramente rappresentare il "de profundis" della band inglese, sarebbe quanto di più omnicomprensivo rispetto ad una carriera pressoché irripetibile da parte di chiunque. C'è l'heavy rock anni 80 alla "Turbo"/"Ram It Down", con il sinuoso synth di "Panic Attack" che inaugura un impatto frontale senza eguali. C'è il class metal di "Gates Of Hell" e sopratutto di "Crown Of Horns", con quel solenne refrain "in calando" che sottende la drammaticità del testo. Troviamo un tritatutto quale "Invincible Shield", dove tornano a concentrarsi fendenti inesorabili sulla scia di "Freewheel Burning", ma anche l'assalto all'arma "oscura" di "The Serpent King", una rappresaglia sonora che aggiorna il dark mood di "Stained Class". Da una band dedita al settore, non è umanamente lecito chiedere di più. Se si parla di gente con 50 (cinquanta!) anni di militanza, ancora meno. Rispetto a "Firepower", più monocromatico nell'impostazione, lo Scudo Invincibile sceglie un percorso sensibilmente differente: ovvero quello di fungere da catalizzatore di ogni "era" dei Judas Priest. La conferma arriva anche dalla rutilante "As God Is My Witness", dichiarato omaggio a "One Shot At Glory" (e si parla finalmente di una traccia dal totem "Painkiller"), ma anche dalle più groovy "Escape From Reality" e "Trial By Fire", papabili rappresentanti del periodo "millennial" (siamo dalle parti dell'assassina "Spectre"). Non basta, "Giants In The Sky" irrompe con il suo incedere sci-fi e robotico, sulla falsariga del leggendario duetto "Heavy Duty"/"Defenders Of The Faith", con l'ugola di Halford a sigillare un patto "metallico" che non sembra minimamente conoscere l'usura del tempo. Da poco più che ragazzino, ai 72 anni attuali: non è affatto un'eresia gridare al "prodigio". Persino le bonus presenti sull'edizione deluxe garantiscono livelli qualitativi da scaletta ufficiale, perché "Fight For Your Life" e "Vicious Circle", dal riff spaccaossa, sentenziano lo stato di grazia che ha accompagnato la scrittura dell'album. Al di là della prolungata assenza di Downing, occorre poi sottolineare quanto Richie Faulkner sia diventato in pochi anni un autentico punto di forza: alla luce dei risultati, buoni ma decisamente più prevedibili con i KK'S Priest, non credo di poter essere accusato di "lesa maestà" nel sostenere che i Judas odierni non risentano affatto del suo mancato apporto. La produzione di Andy Sneap (anche chitarrista della band in sede live), lungi dall'essere invadente, attualizza il suono dei Priest in punta di piedi, senza quelle forzature "plastic-addicted" che lo hanno reso uno dei più autorevoli deus ex machina dell'intera scena Heavy Metal. I Judas Priest mettono ancora in riga tutti, certificando che esiste vita anche oltre "Firepower". A questo punto non si accettano più scommesse sulle aspettative di vita. Artistica, ovviamente.
ALESSANDRO ARIATTI
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