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LABYRINTH: TRA I MEANDRI DI "SONS OF THUNDER" (2000)



Nella storia ormai trentennale dei Labyrinth, "Sons Of Thunder" viene considerato come l'album "sbagliato", il disco che tarpo' le ali al gruppo, a sua volta lanciatissimo verso la conquista della corona di sovrani europei del power/speed metal. Il tutto dopo il successo continentale di "Return To Heaven Denied", ovviamente. Ma andò realmente così? Permettetemi di dubitare. Ricordo anzi che, una settimana dopo la sua pubblicazione, la band raggiunse il numero 25 della Classifica di Sorrisi e Canzoni, autentico termometro nazionale delle vendite dell'epoca. Una posizione mai occupata dai Labyrinth, né prima né dopo. Così come ricordo l'attesa febbrile riservata a "Sons Of Thunder", della cui produzione si occupò addirittura Neil Kernon, guru internazionale della consolle. E qui iniziano le note dolenti. Perché, a detta dello stesso Olaf Thorsen, una volta ricevuto il master finale, il gruppo si ritrovò nelle condizioni, non invidiabili, di dover ricominciare il mixaggio tutto da capo. Quello che, tanto per citare un esempio, avrebbero dovuto fare i Vanadium nel 1987: quando un altro "santone" USA, Jim Faraci, consegno' il pacchetto definitivo di "Corruption Of Innocence". Dice oggi Olaf Thorsen: "Riguardo a Neil, posso dire che era chiaramente disinteressato al lavoro per cui era stato pagato. Passava le giornate di fronte al proprio laptop, lasciando fare tutto al tecnico addetto alle registrazioni. Si trattava di Kappa, ovvero Alfredo Cappello, oggi discografico nel settore indie con band come i Vanilla Sky, che potrebbe tranquillamente confermare l'accaduto. Oltre che disinteressato, Kernon era palesemente non adatto al sound che gruppi come i Labyrinth cercavano. Si arrivò ad una specie di muro contro muro, della serie 'io sono io e voi non siete niente', nonostante le sue scelte cozzassero clamorosamente con il nostro genere. Il mix che fece da solo, in Texas, fu uno scandalo: cancello' anche degli assoli, tra cui quello di 'Rage Of The King', che dovetti ri-registrare al volo. La stessa Metal Blade, la nostra label, rimase così inorridita da chiedere ad Alfredo Kappa di remixare tutto: però lui non era né un produttore né un esperto del settore, nonostante volesse darci darci una mano a rimediare al disastro. Alla fine andò come andò, inutile recriminare: inoltre le tempistiche, per rispettare contratti ed attese, non ci permisero di incidere nuovamente l'album". 


E fin qui abbiamo raccontato le "miserie" di  capitolo discografico che, come già sottolineato, avrebbe dovuto rinsaldare l'invidiabile status di "Return To Heaven Denied". Se posso esprimere un personale punto di vista, anche il continuo tiramolla del vocalist Rob Tyrant (Roberto Tiranti of course), sospeso tra tentazioni mainstream e coerenza metal, non aiutò sicuramente a certificare l'identità dei Labyrinth, che dovettero affrontare il tour europeo di "RTHD" con il veterano Morby (Sabotage) al suo posto, gettando nella confusione i fans continentali. Il continuo avvicendamento tra i frontman della band in quegli anni, proprio mentre stava per tentare affermazioni significative, fu un elemento destabilizzante non di poco conto. Nonostante ciò, "Sons Of Thunder" poteva contare su un songwriting ancora una volta eccellente e, con le scelte sonore corrette (deficitario soprattutto il suono di batteria), il livello generale non avrebbe avuto nulla da invidiare al "Paradiso Negato". Ricordo l'incontro con buona parte della band ed il loro manager Pat Scalabrino, nel corso di un'intervista promozionale a Milano: alla mia domanda se fosse possibile considerare "Sons Of Thunder" come un album più prog, almeno nella costruzione dei brani, ci fu una sorta di pacifica "insurrezione" da parte dei protagonisti. Col senno di poi, 
una volta conosciuti i "dietro le quinte" con Neil Kernon, era normale "fare muro" protettivo nei confronti di un disco che non mostrava in realtà alcuna pecca ascrivibile agli autori. Già, perché dal punto di vista della scrittura, "Sons Of Thunder" non evidenziava, e non evidenzia tuttora, alcun punto debole. Ma proprio zero. Anzi, canzoni come "Chapter 1", "Kathryn" o "Save Me" confermavano non solo l'indiscussa abilità dei Labyrinth nel creare intricati anthem (e non è un ossimoro) dall'appeal irresistibile, ma anche uno stile ormai perfettamente distinguibile tra le miriadi di power band che iniziavano ad infestare la scena. Fino quasi a soffocarla per sovrabbondanza di offerta. Brani quali la magnifica "Elegy" o "Touch The Rainbow", in effetti, non disdegnavano affatto sensazioni più progressive rispetto al predecessore, pur stazionando senza esitazioni nella loro principale "comfort zone", mentre la title-track sparava cannonate speed e melodie in egual misura. Nonostante le vicissitudini che ne accompagnarono la gestazione, "Sons Of Thunder" realizzò un consenso di pubblico "nazionale" decisamente confortante, addirittura oltre la 25esima piazza ufficiale citata ad inizio articolo. Ricorda ancora Olaf Thorsen: "L'album arrivò fino al numero 18, ma siccome la nostra casa discografica non faceva parte delle famose 'sorelle' (le major, per capirci), decisero di inserire nella chart anche alcune compilation appositamente per scavalcarlo: così da non invitarci al Top Of The Pops!". Personalmente, credo che i Labyrinth rappresentino il più grande orgoglio italiano, almeno in campo HM, degli ultimi 30 anni. Per distacco. 


ALESSANDRO ARIATTI 







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