Passa ai contenuti principali

MAGNUM "HERE COMES THE RAIN" (2024)



Il 2024 non poteva aprirsi in modo peggiore, almeno dal punto di vista musicale. All'inizio dell'anno, giunge inaspettata la notizia della scomparsa di Tony Clarkin, leader e mente suprema di una delle più splendenti band inglesi, che ha veleggiato sicura tra i minacciosi flutti di quel mare tempestoso che è il mondo del rock. Sto ovviamente parlando dei Magnum, un nome che non ha mai raggiunto livelli di popolarità paragonabili ad altri giganti della terra d'Albione, ma che, in quanto a qualità media delle rispettive uscite, non è mai stata seconda a nessuno. Non solo capolavori riconosciuti e sostanzialmente trasversali tra melodic rock ed epic metal ("Chase The Dragon", "On A Storyteller's Night", "Wings Of Heaven"), ma anche gioielli di puro AOR che hanno letteralmente fatto scuola ("Vigilante" e "Goodnight L.A."). I Magnum vivono un momento di crisi tra le secche degli anni 90, esattamente dopo l'uscita di "Rock Art", album a cinque stelle che non riscontra il meritato seguito, soprattutto a causa di un mercato rivoltato come un calzino dallo tsunami grunge. Il cantante Bob Catley inaugura così una proficua carriera solista, con Gary Hughes dei Ten che si "traveste" da Tony Clarkin in veste di songwriter. Da non dimenticare il progetto Hard Rain, dove l'inseparabile duo voce/chitarra tenta di far rivivere la magia del gruppo-madre. La reunion dei Magnum è cosa fatta ad inizio del nuovo millennio, ma occorrerà attendere il 2007, con l'album "Princess Alice And The Broken Arrow", per tornare a celebrare gli antichi fasti. Da lì in poi, l'alchimia è di nuovo cementata, tanto da inanellare una serie di album forse non fondamentali, ma quasi sempre posizionati ampiamente sopra la media della concorrenza. "Into The Valley Of The Moonking", "The Visitation", "Escape From The Shadow Garden", "Sacred Blood Divine Lies", non esattamente in questo ordine di preferenza, si affiancano ai classici del passato, palesando un'efficacia di scrittura che non risente dello scorrere del tempo. Dopo "The Monster Roars", uno degli episodi meno positivi del nuovo corso per una vena "oscura" che poco si addice alle caratteristiche dei Magnum, arriviamo a "Here Comes The Rain", che verrà giocoforza ricordato come l'album del definitivo commiato. Un Bob Catley, visibilmente provato dagli eventi, annuncia infatti via social che "senza l'amico di una vita Tony Clarkin è impossibile continuare". Prevedibile. Raramente si ricorda una simbiosi artistica così perfetta e duratura, che ha sfidato più di cinque decadi a suon di canzoni stupende. Non fa eccezione il disco in questione, che torna ai colori pastello di Rodney Matthews dopo il nero-pece della copertina precedente. "L'ultima danza" della pioggia si apre nello sfarzo di "Run Into Shadows", con una ritmica sostenuta che viene stemperata da bellissimi fraseggi di chitarra, sui quali Bob Catley tesse una delle sue eleganti trame melodiche. La title-track forza verso il pomp-rock che ha fatto le fortune della band, ed in tal senso il tastierista Rick Benton sembra aver ben appreso la lezione del maestro Mark Stanway. Tocca poi a "Some Kind Of Treachery", dal refrain struggente e con la voce di Catley che suona "rotta" dall'emozione: il sussulto di rabbia che l'accompagna sembra quasi presagire la scomparsa dell'amico Tony. Neanche a dirlo, il brano risulta monumentale. "After The Silence", con il suo dirompente incipit orchestrale, bilanciato da delicate melodie prog/AOR, è un altro pregevole Magnum "standard", mentre "Blue Tango" spinge maggiormente sulle ali dell'hard rock, con il pianoforte di Benton che punteggia un chorus molto grintoso: ficcante l'assolo di organo, molto saturo di elettricità quello di Clarkin. Con "The Day He Lied" si entra invece nel mood eroico ed incantato di "On A Storyteller's Night", e Bob Catley sembra addirittura intonare un'antica fiaba attorno al fuoco: magnifica! Inaspettati fiati sono i protagonisti della coraggiosa "The Seventh Darkness", una trionfale "marcia", che non teme accuse di "riciclaggio" rispetto all'illustre passato, proprio per la volontà di una band che non disdegna di inserire comunque qualche novità in un tessuto sonoro ipercollaudato. "Broken City", con quel crepuscolare clima da soundtrack, affidato solo a tastiere, voce e chitarra acustica, è l'ennesima traccia che lascia il segno. Stesso dicasi per "I Wanna Live", grazie alla quale si rivive la grande stagione dello chic-rock 80's, quando non tutto era tarato sul voltaggio, ma sull'intensità della proposta; Rick Benton ancora protagonista, con un assolo finale di tastiera alla Uriah Heep. Il marziale mid tempo di "Borderline" innesca una ritmica decisa, ma la melodia vocale è ancora l'ennesima chicca da tramandare ai posteri, al "paragrafo" classe compositiva e genialità esecutiva. Un vero peccato non poter valutare la resa live di "Here Comes The Rain" per le già esposte cause di forza maggiore ma, proprio per questo motivo, sarebbe opportuno mettere da parte atteggiamenti da "tifoseria" settoriale, per dare l'estremo saluto ad un gruppo che ha fatto della sublime qualità la sua bandiera. Un vessillo che sventolera', orgoglioso e superbo, per sempre. 


ALESSANDRO ARIATTI 






Commenti

Post popolari in questo blog

INTERVISTA A BEPPE RIVA

C'è stato un tempo in cui le riviste musicali hanno rappresentato un significativo fenomeno di formazione personale e culturale, ed in cui la definizione "giornalista" non era affatto un termine usurpato. Anzi, restando nell'ambito delle sette note, c'è una persona che, più di tutte, ha esercitato un impatto decisivo. Sia nell'indirizzo degli ascolti che successivamente, almeno per quanto mi riguarda, nel ruolo di scribacchino. Il suo nome è Beppe Riva. E direi che non serve aggiungere altro. La parola al Maestro. Ciao Beppe. Innanzitutto grazie di aver accettato l'invito per questa chiacchierata. Per me, che ti seguo dai tempi degli inserti Hard'n'Heavy di Rockerilla, è un vero onore. Inizierei però dal presente: cosa ha spinto te e l'amico/collega storico Giancarlo Trombetti ad aprire www.rockaroundtheblog.it? Ciao Alessandro, grazie a te delle belle parole. L'ipotesi del Blog era in discussione da tempo; l'intento era quello di ritag...

WARHORSE "RED SEA" (1972)

Sul blog abbiamo già parlato del primo, omonimo album dei Warhorse, band nata dall'ex bassista dei Deep Purple, Nick Simper. Il loro debutto, datato 1970, esce in un periodo abbastanza particolare dove, il beat prima ed il flower power poi, si vedono brutalmente scalzati da un suono ben più burrascoso e tumultuoso. Il succitato Simper, pur avendo fatto parte "soltanto" degli albori (i primi 3 dischi) dei Deep Purple, vede la sua ex band spiccare letteralmente il volo con il rivoluzionario "In Rock", contornato a propria volta da altre perniciose realtà quali Led Zeppelin o Black Sabbath. "Warhorse" suonava esattamente come il giusto mix tra l'hard rock "Hammond-driven" di Blackmore e soci, e le visioni dark di Toni Iommi. Il 33 giri, nonostante l'eccellente qualità di tracce tipo "Vulture Blood", "Ritual" e "Woman Of The Devil", non vende molto. Anzi, contribuisce al rimpianto di Simper di essere stato sc...

LABYRINTH: "IN THE VANISHING ECHOES OF GOODBYE" (2025)

Se quello che stiamo vivendo quotidianamente, ormai da una ventina d'anni, non fosse un fottutissimo "absurd circus"; se esistesse una logica a guidare le scelte della mente umana, divenuta nel frattempo "umanoide"; se insomma non fossimo nel bel mezzo di quel "Pandemonio" anticipato dai Celtic Frost quasi 40 anni fa, i Labyrinth dovrebbero stare sul tetto del mondo metal. Nessuna band del pianeta, tra quelle dedite al power & dintorni, può infatti vantare, neppure lontanamente, una media qualitativa paragonabile ai nostri valorosi alfieri dell'hard'n'heavy. Certo, hanno vissuto il loro momento di fulgore internazionale con "Return To Heaven Denied" (1998), della cui onda lunga ha beneficiato pure il discusso "Sons Of Thunder" (2000) che, ricordiamolo ai non presenti oppure ai finti smemorati, raggiunse la 25esima posizione della classifica italiana. Poi la "festa" terminò, non in senso discografico, perché...