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THE BLACK CROWES "HAPPINESS BASTARDS" (2024)


Quindici anni di litigi, conditi da eccessi di ogni tipo, ci hanno privato della più grande rock'n'roll band post 1990. I fratelli Robinson decidono oggi di seppellire, si spera per sempre (almeno per i nostri padiglioni auricolari), l'ascia di guerra familiare: tuttavia tre lustri non sono esattamente un lasso temporale comune. Così come non è comune l'attitudine di una band che se n'è sempre sbattuta di logiche "commerciali", tirando dritto per la propria strada, anche a costo di ripartire da zero. O quasi. Visto sotto quest'ottica, non stupisce affatto il mood urgente del nuovo album "Happiness Bastards", associabile più all'approccio easy listening della loro opera prima "Shake Your Moneymaker" che non alle dotte lezioni root-rock degli ultimi The Black Crowes "conosciuti". Ovvero precedentemente al lungo stop. Il primo singolo "Wanting And Waiting" mette subito le cose in chiaro: infatti, per ritrovare una loro song con tale enfasi "godereccia", occorre tornare alla celeberrima "Jealous Again". Non c'è più il compianto Ed Harsch alle tastiere, eppure l'avvolgente calore tipicamente Seventies conferito dall'Hammond è il fatidico "valore aggiunto" di cui, in questi interminabili decenni di secca, si sente il bisogno come di un'oasi nel deserto. Se il riff portante ricorda quello di "Misty Mountain Hop" (Led Zeppelin), il battito di mani a ridosso del refrain, proprio come ai tempi rampanti del rock'n'roll, manifesta un profumo "analogico" che non consente repliche. Nonostante l'immancabile aura 70's, "Happiness Bastards" denota sana attenzione dei particolari, che si concretizza in una produzione assai moderna per la proposta, soprattutto nel suono di batteria, completamente differente da qualunque altra release della band di Atlanta. Il secondo estratto "Cross Your Fingers", infatti, cala l'atmosfera gospel dell'irresistibile refrain in un'opulenta effettistica, che potrebbe far storcere il naso a qualche purista; eppure sfido chiunque a contestarne la tremenda efficacia, tra riferimenti "Kashmir"-esque e riti propiziatori del Delta blues. I Robinson brothers, del resto, hanno avuto tutto il tempo per sfogare represse voglie di libertà stilistica nelle più disparate situazioni, una su tutte i formidabili The Magpie Salute di Rich. Così ora possono badare al sodo, come se questo album fosse il pretesto per scandire un nuovo punto di origine per l'arrembante "incendio" rock. Le squisite digressioni acustiche di "Wilted Rose", con la partecipazione amichevole della talentuosa country singer Lainey Wilson, profuma di Led Zeppelin da ogni poro, tanto che i più scafati ascoltatori si ritroveranno a dedicare un pensiero fugace al duetto tra Robert Plant e Sandy Denny su "The Battle Of Evermore". Manca ovviamente la spinta esoterica, non esattamente nelle corde dei Crowes, tuttavia la suggestione storica è forte. In una recente intervista di presentazione all'album, a domanda "come mai un simile titolo?", Rich risponde in modo lapalissiano: "siamo due bastardi e siamo felici così". Sul fatto che il disco sia "bastardo" nella sua micidiale verve, che ti spinge a plurimi ascolti in loop, non c'è la benché minima ombra di dubbio. "Bedside Manners" (già presentata in sede live) apre le ostilità, ed è un piacere constatare immediatamente come i riferimenti Faces/Stones restino uno spettro di ispirazione fermo e non trattabile, nonostante le mutate congiunzioni astrali nel mondo del rock. La proverbiale inclinazione southern viene spesso rinvigorita da robuste iniezioni energetiche, come in "Rats And Clowns" e "Flesh Wound", che non possono non ricordare assai da vicino gli Aerosmith 70's di "Toys In The Attic". L'inclinazione più hard rock è ribadita anche in "Dirty Cold Sun", con quel riff sudaticcio di Rich Robinson accompagnato dall'Hammond di Erik Deutsch, a definire l'ennesimo affresco moderno di un sound senza tempo. Chris si spella le labbra con l'armonica che accompagna il "bluesaccio" sporco di "Bleed It Dry", e la sua forma vocale sembra seriamente non patire in alcun modo lo scorrere del tempo. Patto col diavolo? Non è dato sapere. "Follow The Moon" mostra le scorie della collaborazione con Jimmy Page, perché lo spirito Zeppelin torna ad aleggiare senza esitazioni, prima che la delicata brezza soul di "Kindred Friend" ponga il sigillo definitivo su un ritorno che non esito a giudicare sorprendente. Nonostante restino i sovrani indiscussi del revival-rock, The Black Crowes stupiscono non solo per la risaputa competenza, ma anche per una freschezza compositiva/esecutiva che lascia sbalorditi. 

ALESSANDRO ARIATTI 




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