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BRITNY FOX "BRITNY FOX" (1988)



Facile oggi dire che gruppi come i Britny Fox hanno "cantato" per una sola stagione, grazie soprattutto alla hair metal mania imperante nella seconda metà degli anni 80. La realtà dice invece che, a differenza dei ben più fortunati Cinderella, il quartetto capitanato da Dizzy Dean Davidson ha avuto l'unico torto di essere uscito allo scoperto solamente un paio d'anni dopo rispetto agli autori del platinato "Night Songs" (1986). Addirittura il succitato Davidson, assieme al primo batterista del gruppo Tony Destra (scomparso in un incidente stradale poco prima dell'album di debutto), erano "compagni di squadra" del sommo leader Tom Keifer, nella versione embrionale dei Cinderella stessi. Sono anni in cui "quel" movimento, sicuramente caratterizzato da un look alquanto impegnativo, ma altrettanto certamente foriero di centinaia di canzoni destinate a passare alla storia del genere, costringono persino i vecchi superstiti degli anni 70 a scendere a patti con l'estetica, artistica e musicale, di quel periodo. E non stiamo esattamente parlando di gente qualunque, ma di musicisti che rispondono ai nomi di Ozzy OsbourneAerosmithAlice CooperDavid Coverdale (Whitesnake), e tanti altri. Una truppa d'onore che, proprio grazie alla verve creativa dei "figli degli Eighties", ha saputo reinventarsi e raggiungere alcuni dei più importanti successi della loro invidiabile carriera. Sono praticamente i giovani ad indicare la strada maestra agli "oldies", ed in un periodo di sterile rimasticatura del passato, non mi sembra propriamente un merito da poco.

Tornando ai Britny Fox, la band si stabilizza definitivamente con l'ingresso del nuovo drummer Johnny Dee (che aveva precedentemente suonato sullo splendido "Save Your Prayers" dei Waysted, capitanati da Pete Way degli UFO), nonché del bassista Billy Childs e del chitarrista solista Michael Kelly Smith. Il demo-tape "In America" aveva già annunciato, con le sue migliaia di copie vendute, l'avvento di un possibile "newcomer" della scena, ma è chiaro che le vere potenzialità della band di Philadelphia sono attese in particolare per quanto concerne l'esordio a 33 giri. L'album viene realizzato ai famosi Electric Lady Studios sotto la regia del produttore John Jansen, precedentemente collaboratore di Blue Oyster Cult ed Alice Cooper, e non si può certo dire che il risultato finale sia inferiore alle attese. Presentato da una copertina che vede i quattro agghindati in un mix tra glamour e Vittoriano, il disco viene aperto dal primo singolo/clip "Girlschool", un martellante anthem guidato da un riff spaccamontagne e da un cantato di Davidson che cita in pari misura Tom Keifer e Brian Johnson. Il video che lo accompagna è il tipico inno ribelle di quegli anni, con l'insegnante-befana che taglia i fili del walkman alla studentessa "bonazza", mentre i Britny Fox compaiono improvvisamente sul palco, mandando in visibilio l'intera classe femminile. Befana compresa. Se "Long Way To Love" innesca una cavalcata hard'n'heavy al tritolo, la cadenzata "Kick'n'Fight" piazza una zampata tellurica più AC/DC degli AC/DC stessi. Con la ballad (obbligatoria) "Save The Weak" viene reinstaurato un ideale cordone ombelicale rispetto ai Seventies, perché se è vero che il suono appare certamente moderno, le armonizzazioni del brano richiamano abbastanza palesemente la generazionale "All The Young Dudes" dei Mott The Hoople.
Il tasso di divertimento e di coinvolgimento elettrico prosegue con lo scatenato boogie'n'roll "Fun In Texas", ma soprattutto grazie all'opener del lato B "Rock Revolution", inno da arena abrasivo e bellicoso che registra una performance "over the top" da parte di Davidson. "In America", title-track del già menzionato demo-tape, celebra il sogno USA dell'epoca, quando ancora non era un incubo in mano a quattro "nerd" sfigati, tuttavia non manca un forte richiamo agli anni 70 nemmeno verso la fine del disco, con una sostanziosa rilettura di "Gudbuy T' Jane" degli Slade.

"Britny Fox" vende molto bene, piazzandosi al 39esimo posto della classifica di Billboard: 650.000 copie vendute e disco d'oro in bacheca. In questi miserrimi chiari di luna, sarebbe sei volte platino.


ALESSANDRO ARIATTI




 



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