Passa ai contenuti principali

EMERSON LAKE & POWELL "EMERSON LAKE & POWELL" (1986)




La rinascita neo-progressive degli anni 80 capeggiata dal successo commerciale dei Marillion, che giungono all'apice della popolarità grazie al capolavoro "Misplaced Childhood" (1985), non può che trascinarsi dietro anche i mostri sacri del passato. Assisteremo addirittura ad una inedita configurazione a tre dei Pink Floyd, privi del genio di Roger Waters nel 1987, anno del rilascio di "A Momentary Lapse Of Reason".

Nel frattempo, non mancano nemmeno i contatti tra la "sacra trinità" degli ELP ma, per un motivo o per l'altro, Keith Emerson, Greg Lake e Carl Palmer non riescono a ritrovarsi sotto lo stesso tetto per dare un seguito credibile ad un album non certo memorabile come "Love Beach" (1978). Lo tsunami del punk ingoia in un sol boccone la musica barocca e ridondante degli ELP, ed occorre appunto tanta pazienza per scorgere nuovamente il progressive rock tra le parti nobili delle classifiche. Verificata la non disponibilità di Palmer, Emerson e Lake hanno tuttavia voglia di far riecheggiare inedita regalità, così vanno alla ricerca di un batterista degno di affiancarli. Non che il processo di identificazione della persona in questione sia molto lungo, perché sono ben pochi i drummer in grado di gareggiare in bravura con Cozy Powell. Il quale, peraltro, può vantare una P iniziale nel cognome, da intercambiarsi con quello di mister Palmer.

Ovviamente non stiamo parlando di artisti paragonabili da un punto di vista stilistico: troppo legato all'hard rock il martello di Cozy, per essere associato al tocco raffinato di Carl. In un'intervista post "Black Moon" (1992), lo splendido album che segna il ritorno in pompa magna dei veri ELP, interrogati sul periodo con Powell, Emerson e Lake si guardano in faccia e rispondono al giornalista di turno: "stai parlando per caso del batterista che non sapeva suonare 'Pirates'?". E giù risate.

Spocchia posticcia a parte, quando "Emerson, Lake & Powell" fa capolino tra le novità del 1986, si capisce immediatamente che non c'è spazio per gli scherzi. Il terzetto fa terribilmente sul serio, con un album in grado di evocare la grandeur progressive degli anni 70, senza dimenticare di ritrovarsi con tutte le scarpe nella decade successiva. Tipico esempio l'opener "The Score", in grado di coniugare la logorroica aristocrazia degli ELP con la regale sintesi degli Eighties, innescata su una simil-marcia militare cadenzata dai micidiali synth di Emerson. Oppure la smash hit del disco intitolata "Touch And Go", una specie di "Knife Edge" meno oscura, basata su una melodia popolare del sedicesimo secolo, e trascinata da un portentoso riff hard rock. "Learning To Fly" si posiziona su coordinate solari e tutto sommato più leggiadre, prima che "The Miracle" evochi nuovamente strutture grevi ed oscure: una stesura musicale apocalittica dove dominano i suoni degli ottoni e le dinamiche orchestrali, narrata da un testo funzionale al tema.

Se "Love Blind" descrive esaurientemente la vena più romantica degli ELP, pur non suonando assolutamente smielata come certi episodi del succitato "Love Beach", con "Step Aside" Emerson e Lake non rinunciano ad introdurre elementi jazz di cui Palmer è massimo maestro di esecuzione. Con Powell, ovviamente, non possono sbizzarrirsi come quando dietro ai tamburi sedeva l'ex compagno di avventure, tuttavia il brano funziona benissimo, grazie ad un Lake profondo e ad un pianoforte particolarmente ispirato. Non può mancare l'inno antimilitarista, tematica da sempre insita nelle corde di Keith, che compare nelle splendide vesti della ballad "Lay Down Your Guns". Infine, "Mars The Bringer Of War" è l'adattamento alla sinfonia omonima di Gustav Holst, contenuta nella sua opera I Pianeti, probabilmente uno degli esemplari più conosciuti della musica classica contemporanea. Powell tiene a precisare che l'idea viene da lui, visto che durante i concerti dei Whitesnake era solito improvvisare i suoi assoli di batteria sulla base preregistrata di tale movimento.

Emerson sembra un po' titubante ma, una volta convintosi della scelta, fa tremare anche i muri. Trattasi di un disco passato un po' in sordina, ma che va annoverato senza remore tra i classici del progressive degli anni 80.


ALESSANDRO ARIATTI 







Commenti

Post popolari in questo blog

INTERVISTA A BEPPE RIVA

C'è stato un tempo in cui le riviste musicali hanno rappresentato un significativo fenomeno di formazione personale e culturale, ed in cui la definizione "giornalista" non era affatto un termine usurpato. Anzi, restando nell'ambito delle sette note, c'è una persona che, più di tutte, ha esercitato un impatto decisivo. Sia nell'indirizzo degli ascolti che successivamente, almeno per quanto mi riguarda, nel ruolo di scribacchino. Il suo nome è Beppe Riva. E direi che non serve aggiungere altro. La parola al Maestro. Ciao Beppe. Innanzitutto grazie di aver accettato l'invito per questa chiacchierata. Per me, che ti seguo dai tempi degli inserti Hard'n'Heavy di Rockerilla, è un vero onore. Inizierei però dal presente: cosa ha spinto te e l'amico/collega storico Giancarlo Trombetti ad aprire www.rockaroundtheblog.it? Ciao Alessandro, grazie a te delle belle parole. L'ipotesi del Blog era in discussione da tempo; l'intento era quello di ritag...

WARHORSE "RED SEA" (1972)

Sul blog abbiamo già parlato del primo, omonimo album dei Warhorse, band nata dall'ex bassista dei Deep Purple, Nick Simper. Il loro debutto, datato 1970, esce in un periodo abbastanza particolare dove, il beat prima ed il flower power poi, si vedono brutalmente scalzati da un suono ben più burrascoso e tumultuoso. Il succitato Simper, pur avendo fatto parte "soltanto" degli albori (i primi 3 dischi) dei Deep Purple, vede la sua ex band spiccare letteralmente il volo con il rivoluzionario "In Rock", contornato a propria volta da altre perniciose realtà quali Led Zeppelin o Black Sabbath. "Warhorse" suonava esattamente come il giusto mix tra l'hard rock "Hammond-driven" di Blackmore e soci, e le visioni dark di Toni Iommi. Il 33 giri, nonostante l'eccellente qualità di tracce tipo "Vulture Blood", "Ritual" e "Woman Of The Devil", non vende molto. Anzi, contribuisce al rimpianto di Simper di essere stato sc...

LABYRINTH: "IN THE VANISHING ECHOES OF GOODBYE" (2025)

Se quello che stiamo vivendo quotidianamente, ormai da una ventina d'anni, non fosse un fottutissimo "absurd circus"; se esistesse una logica a guidare le scelte della mente umana, divenuta nel frattempo "umanoide"; se insomma non fossimo nel bel mezzo di quel "Pandemonio" anticipato dai Celtic Frost quasi 40 anni fa, i Labyrinth dovrebbero stare sul tetto del mondo metal. Nessuna band del pianeta, tra quelle dedite al power & dintorni, può infatti vantare, neppure lontanamente, una media qualitativa paragonabile ai nostri valorosi alfieri dell'hard'n'heavy. Certo, hanno vissuto il loro momento di fulgore internazionale con "Return To Heaven Denied" (1998), della cui onda lunga ha beneficiato pure il discusso "Sons Of Thunder" (2000) che, ricordiamolo ai non presenti oppure ai finti smemorati, raggiunse la 25esima posizione della classifica italiana. Poi la "festa" terminò, non in senso discografico, perché...