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KISS "LICK IT UP" (1983)

 




I Kiss arrivano all'appuntamento con gli anni 80 letteralmente stremati. Gli eccessi scenici e visivi, al netto di una vena compositiva quasi sempre eccellente almeno fino al poppettaro "Dynasty", con le sue ritmiche spesso e volentieri alterate dalla "febbre del sabato sera", non sono più sufficienti. Inutile girarci intorno, la New Wave Of British Heavy Metal, da fenomeno circoscritto alla working class anglosassone, si trasforma in un trend mondiale, mettendo tanti gruppi storici con le spalle al muro. Della serie: quello che avete fatto, cari signori, resterà alla storia, ma se non volete finire nella sezione antiquariato, dovete muovere il culo.

Il voltaggio disumano di Iron Maiden, Motorhead, Saxon, Def Leppard, Diamond Head e compagnia, è infatti uno schiaffo in piena faccia all'intera industria musicale. Un album come "Unmasked", tanto per dire, viene visto come ciarpame dal pubblico rock, e non serve a sollevare le quotazioni dei Kiss nemmeno un concept, pur bello, come "The Elder". Anzi, tende solo a confermare il periodo confusionale che attraversa il quartetto di New York, schiacciato letteralmente tra l'incudine della propria fama ed il martello del nuovo che avanza. Le cose vanno decisamente meglio con "Creatures Of The Night", dove si iniziano ad avvertire le prime folate di cambiamento, grazie soprattutto alla libertà espressiva lasciata al batterista Eric Carr, che passa dalle carezze di canzoni come "A World Without Heroes" alle mazzate di "I Love It Loud".

Manca solo un tassello per completare la definitiva mutazione: gettare la maschera, e non è soltanto un modo di dire. Ricordo ancora quando vidi per la prima volta, nell'autunno del 1983, il vero volto dei Kiss: me li immaginavo così? Più o meno.
Che Simmons fosse il bullo della situazione e Stanley l'animo più romantico, già si sapeva. Eliminato anche Ace Frehley, che in "Creatures Of The Night" viene accreditato senza suonare nemmeno una nota, si conosce anche il volto del responsabile di quel suono di chitarra così duro e selvaggio. Il suo nome risponde a Vincent Cusano, in arte Vinnie Vincent. I Kiss non erano mai stati heavy metal, in fondo. Uso il tempo imperfetto non a caso, perché con "Lick It Up" tutto cambia. Il pennino del nuovo entrato sfonda come un uragano nel songwriting di ben otto delle dieci canzoni che lo compongono, e la sua mano pesante si sente eccome. Non basta nemmeno più il termine hard rock per arginare il suono del disco, perché la dinamica sonora si fa talmente frastornante da dover inserire i Kiss "anno domini 1983" nello stesso calderone di Judas Priest, Saxon o Def Leppard. Non tutto è perfetto, ci mancherebbe: non ci si inventa "metallari" dall'oggi al domani, tuttavia l'album viaggia che è un piacere.

Dalla rutilante opener "Exciter", passando per l'esplicita "Not For The Innocent", fino ad arrivare alla ormai celeberrima title-track, uno degli "hair anthems" per eccellenza. Anche il videoclip che accompagna la canzone è completamente figlio del proprio tempo, con quell'ambientazione da mondo post-atomico che sembra un mix tra Warriors-I Guerrieri Della Strada e Mad Max. Se "Young And Wasted" e "Gimme More" appaiono talmente integraliste da sfiorare il parossismo, "All Hell's Breaking Loose" risulta irresistibile per l'efficacia del riff e della linea melodica: l'assolo "infernale" di Vincent, poi, è micidiale. La più edulcorata "A Million To One" avvicina Paul Stanley a quella vena più radiofonica che si sarebbe sviluppata un paio d'anni dopo in "Asylum"; ma si tratta solo di un episodio perchè "Fits Like Glove" e "Dance All Over Your Face" affilano la spietata lama che, per citare un verso della prima canzone, affonda nella carne "come se fosse burro". Se invece voleste ascoltare dei Kiss in versione Manowar, l'appuntamento viene fissato con "And On The 8th Day", dove la cosmogonia del rock'n'roll viene raccontata con enfasi lirica e fantasia eroica.

Per i vecchi fans, "Lick It Up" rappresenta sicuramente uno shock, ma per la generazione eighties è una vera goduria sensoriale.
La certificazione a disco di platino negli USA, dopo i deludenti risultati degli album precedenti, ne sancisce il consenso generale.

ALESSANDRO ARIATTI








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