Se fino a poco tempo fa qualcuno ci avesse detto che doom e tendenze radiofoniche potevano tranquillamente andare a braccetto, lo avremmo preso per pazzo. Fino all'avvento dei Ghost, almeno. Che si apprezzino o si detestino, i cinque "ghouls" riuniti attorno alla figura di Tobias "Papa Emeritus" Forge hanno decisamente cambiato le carte in tavola. Già questo fatto dovrebbe rappresentare motivo di vanto ed ammirazione, ma siccome il "metallaro medio" fatica a riconoscere il merito soprattutto quando è condiviso da platee differenti (negli 80's toccò a Bon Jovi e Europe, ad esempio), verso i Ghost continua a perseverare una diffidenza francamente poco comprensibile. L'encomio alla band svedese è giustificato, almeno in questa sede, dal fatto che i Lucifer sembrano pescare a piene mani dal loro repertorio. Come gli stessi Ghost, anche il gruppo guidato dalla bionda Johanna Sadonis parte dall'etichetta Rise Above di Lee Dorian dei Cathedral, autentico punto di riferimento per il rock che vira verso l'occulto. Dal 2014 ad oggi, della formazione originale è rimasta in realtà soltanto lei, circondata da un manipolo di musicisti scandinavi. Tanto da spostare la "base" dei Lucifer dalla Germania alla Svezia (guarda caso). La poca fantasia nei titoli viene confermata dalla scelta di questo quinto lavoro, denominato appunto "V", ed in fondo non è che la proposta brilli per originalità rispetto ai suoi predecessori. I riflussi verso il 70's sound restano il primario oggetto di ispirazione del gruppo, oggi approdato alla "quasi major" Nuclear Blast, tuttavia è il senso per la melodia "facile" a rendere il disco un prodotto vincente. "V" è più curato negli arrangiamenti, soprattutto nei dettagli che distinguono un grande refrain da uno semplicemente buono, tanto che l'antifona (sconsacrata) si manifesta fin dall'iniziale "Fallen Angel". L'appiglio nei confronti dei Ghost diventa lampante nelle decadenti, ma irresistibili, melodie di "At The Mortuary", dove soltanto la naturale differenza di timbrica tra la Sadonis e Forge differenzia una proposta a tratti indistinguibile. Le tastiere smussano i lati più aspri derivanti da un riff Sabbathiano, fino a trasformare il brano in un easy listening dalle parti dei Blue Oyster Cult. Sicuramente uno degli highlight di un album pregevole per molti aspetti. Il mix tra i Black Sabbath periodo Ozzy e le Heart di "Dreamboat Annie"/"Little Queen" non risulta plausibile? Credo che cambierete facilmente idea sulle note di una "Riding Reaper", satura di elettricità ma sgravata da un chorus con tutti i crismi dell'immediatezza più spietata. "Slow Dance In A Crypt" è un funereo blues/doomeggiante, con Johanna molto attenta a dosare la propria vocalità, quasi si trattasse di un accompagnamento a qualche horror-cult ambientato in un nebbioso cimitero. Produzione a parte, "A Coffin Has No Silver Lining" è puro arena rock 80's, e tocca ancora una volta al chorus irresistibilmente anthemico prendersi nettamente la ribalta. Stesso dicasi per "Maculate Heart", la cui solarità cozza clamorosamente col concept "dark" che dovrebbe gravitare attorno alla band. "The Dead Don't Speak" sfiora addirittura strutture AOR nella costruzione ritmica, mentre "Strange Sister" pulsa di sudaticcio sleaze metal DOC di pregiata annata. Immagine e lyrics a parte, c'è ben poco di "esoterico" nei Lucifer, il che (almeno per quanto mi riguarda) non è affatto un difetto: anzi. La conclusiva "Nothing Left To Love But My Life" paga tributo alle radici tedesche di Joahanna, con quell'andamento da ballad che, almeno nell'arpeggio iniziale, ricorda molto da vicino "Still Loving You" degli Scorpions. I Lucifer sanno cosa vogliono e dove devono "andare a parare" per attirare i gusti delle platee. E lo fanno assai bene: ma, per favore, evitate di parlarmi di "novità", a meno che non vogliate pigliarmi per il culo. L'ironia è sempre ben accetta.
ALESSANDRO ARIATTI
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