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MALICE "LICENSE TO KILL" (1987)



“Uccidere” con classe: anche questo è possibile nei favolosi anni 80. Ne sono una prova, oserei dire piuttosto lampante, i californiani Malice. Difficile francamente scegliere tra l’esordio “In The Beginning”, contenente peraltro la straordinaria “Rockin’ With You”, ed il secondo lavoro “License To Kill”.

La mia opzione ricade su quest’ultimo soltanto perché ancora più “focalizzato” rispetto al succitato primo album, e certamente grande merito per una simile chiarificazione d’intenti stilistica ricade sulla scelta del produttore del 33 giri in questione. Max Norman ha infatti la nomea di trasformare in freddo e tagliente tungsteno ogni cosa che tocca, e l’alchemica formula si ripete di nuovo in queste nove canzoni confezionate da una copertina che trasuda crudeltà spietata, ma allo stesso tempo cruenza elegante. Come se la Morte del classico film Il Settimo Sigillo di Bergman fosse stata immortalata in un disegno tanto semplice quanto efficace, irrompendo con rigorosa grazia nel mondo dell’heavy metal tonante. Piccola curiosità: mentre i padri putativi del Malice-sound, ovvero i britannici Judas Priest inglobano influenze americane nel loro songbook (vedi “Turbo”), “License To Kill” non scende a compromessi, recuperando nudo e crudo l’appeal di masterpiece come “Screaming For Vengeance” o “Defenders Of The Faith”.

Corsi e ricorsi del destino, che però confermano come, in fondo, la grande musica non sia altro che un continuo incrocio di sliding doors. Quello che invece appare palese è come i due chitarristi Jay Renolds e Mick Zane non facciano assolutamente nulla per nascondere il loro profondo amore per i colleghi britannici di strumento KK Downing e Glenn Tipton, così come il frontman James Neal non mascheri dietro ad effettistiche varie la sua naturale inflessione per replicare al meglio i perforanti vocalizzi di Rob Halford. Dicevo poc’anzi: nove pezzi soltanto per un disco che non tocca nemmeno i 40 minuti di durata. L'epopea del CD e del suo minutaggio esagerato, col non invidiabile svantaggio di doversi sorbire filler su filler, è ancora uno spauracchio all’orizzonte. Figuriamoci il mare magnum del download selvaggio, che azzera il significato di “album” per sostituirlo con bulimiche playlist senza capo né coda.

L’inizio è debordante, col riffing circolare di “Sinister Double” ad aprire le ostilità nel segno della potenza e dell’intensità, seguita da una title-track che ricalca la dinamica di “Heading Out To The Highway” aggiungendo, non me ne vogliano gli innumerevoli fans dei Judas Priest, una predisposizione all’armonizzazione che soltanto i più talentuosi gruppi americani di quel periodo sono capaci di sciorinare con tale irriverente disinvoltura. Questione di DNA probabilmente, ma i fatti parlano chiaro. Un simile uno-due di partenza stenderebbe chiunque, eppure ci tengo a ripetere il concetto: non troverete un attimo di superflua o fastidiosa sovrabbondanza in “License To Kill”, a partire dal roccioso up-tempo di “Against The Empire”, per non parlare del "cadenzato andante" a nome “Vigilante”, in cui i Malice raccontano le gesta di un notturno “mietitore” di giustizia con convinzione talmente sinistra da destare più di un sospetto. “Chain Gang Woman” potrebbe rappresentare l’ideale anello mancante tra i pluricitati Priest ed il Ratt’n’Roll così in voga all’epoca, a dimostrazione che la differenza tra le due band può essere analizzata (a mente fredda) quasi più come una questione di forma estetica che di sostanza sonora. “Christine” e “Murder” rincarano la dose della dipendenza verso gli autori di “British Steel”, senza tuttavia mai cadere nello scomodo trappolone della sottomissione canonica. Lo sprint di commiato viene assegnato ad una “Breathin’ Down Your Neck” relativamente più morbida nel chorus, ma anche ad una “Circle Of Fire” in cui James Neal pone il suo sigillo di garanzia come plausibile alter ego di Halford.

La storia dei Malice si concluderà praticamente nel 1989 con l’EP “Crazy In The Night”, da segnalare soprattutto per "l’ospitata" del dio dell’AOR roboante Paul Sabu, che interpreterà da par suo la straordinaria “Vice Versa”. In realtà, il 2012 vedrà ricomparire timidamente il banner del gruppo con James Rivera al posto di Neal per l’album “New Breed Of Godz”, ma la vecchia magia di “License To Kill” non è un’eterea entità che può essere evocata a comando.


ALESSANDRO ARIATTI 







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