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POISON "FLESH & BLOOD" (1990)



Una volta vigeva il motto per cui il terzo album rappresentava la cosiddetta prova del fuoco per qualsiasi band. Ovviamente prima che la durata dei gruppi fosse inferiore ai sei mesi. Non fanno eccezione alla vetusta regola nemmeno i Poison, noti per la loro vena caciarona e ben poco adatta a discorsi stilistici particolarmente forbiti. Il divertimento e la sua relativa ostentazione sono il punto di riferimento di "Look What The Cat Dragged In" e del suo spettacolare seguito "Open Up And Say Ahh!", scanzonato pop metal assurto a forma d'arte che, raramente, aveva raggiunto vette di efficacia così elevate. Fortunatamente la vena compositiva di Bret Michaels e soci non viene affogata nella bella vita di qualche piscina Hollywoodiana, tanto che per il terzo album "Flesh & Blood" viene ingaggiato addirittura Bruce Fairbairn, autentico number 1 della consolle (nello stesso anno produrrà anche "The Razors Edge" degli AC/DC).

Difficile associare Poison a "maturità", tuttavia questo è indubbiamente il senso di un album differente dai precedenti. Intendiamoci, l'attitudine "fun" del quartetto non perde un'oncia della propria efficacia, tuttavia il suono raffinato, i testi più riflessivi, ed un look decisamente sobrio rispetto al passato, tracciano una linea di demarcazione ben precisa. Non tanto nel primo singolo "Unskinny Bop", una versione "godereccia" dei Def Leppard di "Hysteria", quanto piuttosto in una ballad meravigliosa & dolorosa come "Something To Believe In", nella quale Michaels sviscera tematiche che sembrerebbero totalmente avulse dalle sue corde. Qui non ci sono cowboys che "cantano la loro triste, triste song" per la rottura di una storia d'amore come in "Every Rose Has Its Thorn", ma reduci dal Vietnam che vengono trattati come cani randagi da un governo di infami. Se permettete, il "salto di qualità" è sostanziale.

In genere, è tutto il cosiddetto "hair metal" che in quegli anni prende consapevolezza, spostando il mirino delle lyrics da "sex drugs and rock and roll" ad accuse ben precise verso il sistema. Alcuni esempi eclatanti sono i Motley Crue di "Wild Side", oppure i Guns'n'Roses di "Paradise City": le case discografiche, schiavette del potere, agiscono di conseguenza, affossando scientemente Los Angeles per promuovere gli "straccioni" di Seattle. Fantastico.

Quelli di "Flesh & Blood" sono gli ultimi colpi di un movimento che inizia a presagire la propria fine, ed i Poison rispondono in maniera egregia alla chiamata. Già, perché se la scena viene oscurata, non è certo per demeriti propri. Canzoni come la scattante "Valley Of Lost Souls", la tetragona title-track (riff alla AC/DC), oppure l'ideale follow up di "Fallen Angel", a titolo "Ride The Wind", mantengono altissimo il vessillo della qualità, non lasciando proprio nulla al caso. Le tastiere, stavolta nelle mani di John Webster, riempiono magnificamente gli spifferi melodici di un Bret Michaels al top della forma, e persino la sei corde di DeVille sembra non essere esente da virtuosismi fino ad allora sconosciuti. "Don't Give Up An Inch" e "Life Loves A Tragedy" sembrano tracce provenienti dal precedente album, ma ripulite ed opportunamente "imborghesite" da una resa sonora a dir poco perfetta. Se volessimo trovare il pelo nell'uovo, "Flesh & Blood" avrebbe beneficiato di una durata inferiore, con un paio di opportune sforbiciate a danno della seconda, insipida ballad "Life Goes On", e di una "Poor Boy's Blues" francamente inutile nel suo spirito finto-vintage.

L'abbiamo già sottolineato in più di un'occasione: sono gli anni del passaggio dall'analogico al digitale, dal formato LP al più "comodo" CD, così per giustificare l'aumento di prezzo si incrementa anche l'offerta. Col risultato di trovarsi spesso tra le mani un prodotto più "annacquato" rispetto ai canonici 35/40 minuti. Detto ciò, "Flesh & Blood" conferma il talento espressivo e compositivo di una band che, piaccia o no, ha scritto pagine indelebili per un determinato periodo storico. Il disco vende 3 milioni di copie nei soli Stati Uniti, eguagliando l'invidiabile seconda posizione nella chart di Billboard ottenuta dal suo predecessore. Questo è quanto, il resto sono chiacchiere da "bar Mario".

Polemica nota conclusiva: al Monsters Of Rock 1990, i Faith No More insultarono dal palco i Poison, definendoli nei modi più turpi ed offensivi. Peccato che "Nothing But A Good Time" venga ancora oggi utilizzata negli intervalli NBA, e che il gruppo suoni attualmente negli stadi USA assieme a Motley Crue e Def Leppard. Qualcuno ha notizie dei Faith No More?


ALESSANDRO ARIATTI









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