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WHITESNAKE "READY AN' WILLING" (1980)



Il 1980 è un anno da consegnare alla storia. Tra un “Back In Black” ed un “Heaven And Hell”, un “Iron Maiden” ed un “Blizzard Of Ozz”, un “Wheels Of Steel” ed un “Ace Of Spades”, la lista dei capolavori è lunga quanto un vecchio elenco telefonico della SIP.

Tra questi, last but not least, David Coverdale, assieme alla sua creatura Whitesnake, sforna quello che, almeno personalmente, considero il suo picco assoluto per incredibile talento compositivo ed inarrivabile maestria interpretativa.

“Ready An’ Willing” vede in formazione ben tre ex membri dei Deep Purple “Mark Three”, con Ian Paice che raggiunge Jon Lord alla corte del frontman britannico. E quando dico “frontman”, intendo questo ruolo nell’accezione più nobile del termine, perché resto ancora oggi del parere che nessun vocalist abbia mai raggiunto la presenza scenica ed il carisma di Mister Coverdale sul palco.

Prodotto in maniera straordinaria dal solito guru della golden age del genere, e sto ovviamente parlando di Martin Birch, il più abile manipolatore di suoni a seconda della band che si ritrova davanti, il 33 giri è la sublimazione dell’hard rock blues che “Trouble” e “Lovehunter”, in maniera diversa, ci avevano già lasciato intravedere. I Whitesnake pre-svolta americana, avvenuta soltanto parzialmente in “Slide It In”, e successivamente abbracciata in maniera totale, col plurimilionario “1987” prima, e con l’altrettanto valido ma meno fortunato “Slip Of The Tongue” poi, sono il perfetto incrocio tra la sontuosità dei Deep Purple e l’approccio più sbarazzino dei Bad Company, anche perché Paul Rodgers ha sempre rappresentato un punto di riferimento artistico per il cantato così “caldo” ed emozionale di David.

Sono perfettamente conscio del fatto che la diatriba tra i sostenitori delle due “ere” della band abbia scatenato, e continui a scatenare ancora oggi, infinite discussioni; quindi, personalmente mi limito a ribadire la ferma posizione che, almeno per quanto riguarda il sottoscritto, i “veri” Whitesnake, quelli nati all’insegna di una prosecuzione dei Deep Purple in una situazione stilistica di “forma canzone” più semplice, sono quelli che vanno da fine anni 70 ai primi 80. Il periodo definito dalle chitarre old-fashioned di Bernie Marsden e Micky Moody (un vero e proprio “slide master”) che si interfacciano al possente Hammond di Jon Lord, asservendo e supportando la straordinaria vena creativa di un Coverdale letteralmente in stato di grazia. “Ready An’ Willing” ne è probabilmente l’esempio più eclatante e clamorosamente riuscito: dall’hit single “Fool For Your Loving” all’urgenza di “Sweet Talker”, dall’irresistibile groove della title-track alla ballad con reminiscenze soul di “Carry Your Load”, dalla crepuscolare “Blindman” (ripresa dal primo solo album di David e qui sostanziosamente arricchita dalle tastiere di Lord) al favoloso melting pot tra Led Zeppelin e gli stessi Deep Purple inscenato dalla sensazionale “Ain’t Gonna Cry No More”.

Le anime, rispettivamente blues e rock and roll dei Whitesnake “anno domini 1980”, si manifestano in tutto il loro vigore con “Love Man” (“I’m your hoochie cocchie man”) e “Black & Blue”, per poi fondersi e sublimarsi nel finale al fulmicotone di “She’s A Woman”.

Nove canzoni pazzesche, che denotano non solo inesauribile freschezza ed invidiabile maturità in fase di songwriting, ma anche una rocciosa e (fino ad allora) inedita coesione di gruppo, probabilmente l’unico fattore che era leggermente mancato nei precedenti lavori. Detto ciò, nessuno potrà mai nemmeno minimamente mettere in discussione le canzoni di un “Trouble” e tantomeno di un “Lovehunter”, tuttavia il cambio di marcia in fase esecutiva di “Ready An’ Willing” risulta evidente fin dal primissimo approccio.

A conferma del momento d’oro della band, e quale testimonianza del tour a supporto all’album, viene pubblicato il doppio dal vivo “Live…In The Heart Of The City”, una delle più coinvolgenti registrazioni “on stage” che mi sia mai capitato di ascoltare in tutta la vita.

Quando parlo e scrivo di David Coverdale, sono conscio che l’imparzialità viene spesso a mancare, ma sfido chiunque a disquisire sulla straordinaria qualità di questo immortale capolavoro.


ALESSANDRO ARIATTI 








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