Mi permetto un piccolo excursus personale riguardo agli Accept. È l'anno 1993, ed il mondo del metal celebra la reunion della band che tanti capolavori ci aveva regalato nel corso degli 80's. Telefonai al mio negozio di fiducia, e chiesi se fosse già disponibile "Objection Overruled": questo il titolo del loro come-back in pompa magna, con il rientro dello storico singer Udo Dirkschneider in formazione. La risposta fu "si, ma è stato stampato solamente in versione cd". Il sottoscritto, da sempre molto sospettoso nei riguardi delle trans-izioni tecnologiche, fu costretto a capitolare. Io ero uno di quelli che, ancora, si rifiutava di passare al "comodo" lettore ottico, e che aveva resistito sui bastioni del formato LP/33 giri. A quel punto, mi trovai costretto ad acquistare il supporto fisico nuovo (per l'epoca) SOLO per avere l'opportunità di ascoltare un album che attendevo da così tanto tempo: esattamente da "Russian Roulette" (1986), disco che segnò la fine del sodalizio Accept/Dirkschneider. Vi dirò di più: comprai PRIMA il cd di "Objection Overruled", e soltanto una settimana DOPO lo "strano marchingegno" sul quale potermelo godere! Questo per dire quanto gli Accept abbiano rappresentato per me/noi figli (musicalmente parlando) degli Eighties, nonché per scovare ogni dubbio sulla dedizione del sottoscritto nei riguardi del gruppo tedesco. Da allora, acqua sotto i ponti ne è passata tanta da riempire gli oceani. Ma non così tanta da sommergere nell'oblio il nome degli autori di "Restless & Wild", così nel 2024 siamo ancora qua a parlare di un loro nuovo disco. Fin dalla copertina che cita Metropolis di Fritz Lang, "Humanoid" suona la carica dell'attenzione su una società in cui l'uomo sta soccombendo sempre di più rispetto alla dittatura tecnocratica, con i suoi diktat inaccettabili: infatti il mood imperante è quello di un album più "pomposo" (aggettivo ovviamente da prendere con le pinze), che si allontana parzialmente dall'approccio "straight in your face" del precedente "Too Mean To Die". Dei membri originali è rimasto il solo Wolf Hoffman, anche se ormai Mark Tornillo conta più anni di militanza nel gruppo rispetto ad Udo. La vena creativa che aveva abbracciato le canzoni di "Blood Of The Nations", "Stalingrad" e, almeno parzialmente "Blind Rage", sono purtroppo un pallido ricordo. Personalmente avevo infatti accolto con piacere il "tiro" meno pretenzioso del succitato "Too Mean To Die", proprio per la sua dichiarata volontà di ricercare un songwriting maggiormente snello ed anthemico. Ci sono sicuramente dei buoni brani in "Humanoid", come "The Reckoning" e la AC/DC-iana "Man Up", nelle quali la band mira al sodo senza tanti grilli per la testa. Sono invece certe "sovrastrutture" che appesantiscono la raccolta; e per "appesantimento", non mi riferisco tanto alle sfuriate heavy, sulle quali gli Accept non hanno mai concesso sconti, quanto piuttosto ad un eccessivo utilizzo di "teatralità", funzionale sui primi dischi con Tornillo, ma che oggi mostra decisamente la corda. Un esempio su tutti quello della title-track, tanto efficace nelle lyrics quanto debole nelle linee vocali: refrain in primis. Certo, non si può negare l'abnegazione verso il genere da parte di un nome che ha contribuito a consolidarne le fondamenta, e tutto sommato tracce quali "Frankenstein" (sempre a proposito di manipolazioni genetiche) non sono affatto disprezzabili. Concedetemi tuttavia di preferire i momenti meno "impegnati", come l'alcolica ed arrapante "Straight Up Jack", un mortale fendente AC/DC che ti mette addosso la "scimmia" dell'headbanging come ai tempi che furono. In un periodo di rievocazione storica del metal Eighties, spesso pedissequo e sterile da parte di inqualificabili replicanti, auspicherei che proprio i maggiori rappresentanti del periodo tornassero a rinfrescarne la gloria. In questo senso, "Humanoid" è una mezza occasione mancata. Sarà per la prossima volta?
ALESSANDRO ARIATTI
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