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BLACK SABBATH "TYR" (1990)



Agosto 1990: passeggiando per la città ed incrociando ovviamente il mio negozio di dischi preferito, vedo campeggiare in vetrina due LP nel settore novità. "Empire" dei Queensryche e "Tyr" dei Black Sabbath. Di lì ad un paio di settimane, toccherà a "Painkiller" dei Judas Priest, "Rust In Peace" dei Megadeth e "The Razors Edge" degli AC/DC. Date un'occhiata alla situazione odierna e fate un paragone, se ci riuscite.

Chiusa parentesi, andiamo a parlare del successore di "Headless Cross", un album che riporta prepotentemente in carreggiata il nome Black Sabbath, non solo a livello di qualità (mai mancata), ma anche di credibilità e stabilità di formazione. L'ingresso di Tony Martin, degnissimo epigono delle gesta di Ronnie James Dio, sembra finalmente aver iniettato in seno al gruppo quella continuità e quella fiducia che era mancata proprio dai tempi di "Mob Rules". Anche nelle esibizioni live, il cantante inglese dimostra una sicurezza vocale che gli permette di brillare sia sui pezzi dell'epoca Ozzy che in quelli del succitato Dio, ed anche l'ingresso in formazione del "martello" Cozy Powell ristabilisce le corrette gerarchie in campo heavy metal.
I Black Sabbath sono tornati per "essere i Black Sabbath": forse non filologicamente parlando, ma sicuramente in termini di autorevolezza. Manca giusto un ultimo tassello per ridefinire questa line-up gravitante attorno al sommo Iommi, e la chiusura del cerchio avviene quando a Neil Murray, già spalla di Powell in diverse situazioni (Whitesnake, una su tutte), viene assegnato il ruolo di bassista.
Non può ovviamente mancare Geoff Nicholls, tastierista "nascosto" eppure molto caratterizzante nella definizione degli arrangiamenti fin dai tempi di "Heaven & Hell".

Il nuovo 33 giri "Tyr" prende lo spunto dalla mitologia nordica, e rivendica il compimento nella mini-suite che apre il lato B dell'album, culminante in una bellicosa "Valhalla" dalla quale soffiano idealmente i venti di guerra di un ipotetico drakkar, nel culmine di una battaglia su mari lugubri e burrascosi. Lungi dalla composizione di un concept album, che non è mai stato interesse prioritario nell'agenda di Tony Iommi, il resto del disco brilla come quella stella evocata nelle lyrics di "Jerusalem", un mid tempo epico e "tastieroso" decisamente più simile ai Rainbow che non ai vecchi, ossianici Black Sabbath di Osbourne.
L'apertura viene comunque affidata ad "Anno Mundi", un capolavoro di metal "corale" che piazza una intro geniale, egregiamente trasformata in un cadenzato dalla corazza spessa e granitica. "The Lawmaker" sembra quasi essere messa lì per "scatenare la Bestia", ed infatti il drumming di Cozy lascia letteralmente senza fiato, in una rincorsa frenetica ai limiti dello speed: alcuni la definiscono una versione accorciata di "A Light In The Black", ed in parte concordo con tale affermazione.

La facciata più doom viene esposta invece da "The Sabbath Stones", tra una batteria cannoneggiante che evoca eroiche gesta lontane, ed arpeggi ariosi valorizzati dalla performance di un Martin poco meno che mostruoso. Se qualcuno aveva storto il naso per quella "No Stranger To Love" inclusa in "Seventh Star", probabilmente mostra il suo disappunto anche per "Feels Good To Me", una ballad atmosferica ed ovattata, condotta senza timori da una linea vocale vincente e da un assolo che trasuda lacrime e sangue. "Heaven In Black" sigilla un album maiuscolo, con Iommi che s'inventa l'ennesimo riff "diabolico", mentre la sua chitarra viene doppiata dalle battenti tastiere di Nicholls ed assecondata da un Powell apocalittico.

Martin supera ancora sé stesso, narrando le gesta di antichi architetti che vengono accecati affinché non ripetano mai più il miracolo di creare cattedrali altrettanto perfette.
Una storia crudele, indubbiamente, ma che si mette in scia ai testi più macabri e drammatici del songbook griffato Black Sabbath.
Il tour a supporto di "Tyr" è un discreto successo, ma quando Ronnie James Dio annuncia il "disbanding" del suo gruppo, iniziano immediatamente a circolare le voci su una possibile reunion della formazione di "Mob Rules". I pettegolezzi si materializzano in realtà fattuale, con la realizzazione di "Dehumanizer" nel 1992, ma questa è già un'altra pagina dell'irrinunciabile enciclopedia Black Sabbath.


ALESSANDRO ARIATTI






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