Anno 1997: dopo un lungo periodo "sabbatico", David Coverdale decide che è ora di togliere i Whitesnake dalla naftalina. È dai tempi di "Slip Of The Tongue" (1989) che la band non pubblica materiale inedito, un album sicuramente di successo ma non in grado di ripetere i risultati del suo predecessore. A dire il vero, "Restless Heart" avrebbe dovuto uscire come lavoro solista di Mister DC (come lo chiamano affettuosamente i suoi compagni di avventura), ma la EMI pretende che venga riesumato il vecchio banner. Alla stregua dei Ritchie Blackmore's Rainbow o dei Black Sabbath "featuring Toni Iommi", stavolta tocca ai David Coverdale's Whitesnake. Mi arriva la cassettina promo per la recensione e, poco dopo, il caporedattore del magazine per cui collaboro, mi comunica che ci sarà presto da recarsi a Milano per l'intervista di rito. Non vedo l'ora: dopo Dio e Bruce Dickinson, entrambi incontrati nel 1996 (con Ronnie ci sarà modo di rivedersi nuovamente negli anni successivi), un altro eroe di gioventù da inserire nel "curriculum" di scribacchino. Ho letteralmente CONSUMATO i 33 giri dei primi Whitesnake, quelli più fedeli all'eredità Deep Purple: c'è stato un periodo, diciamo tra il 1986 ed il 1988, in cui non passava giorno senza l'ascolto di un "Ready An' Willing" o di un "Lovehunter", di un "Saints And Sinners" o uno "Slide It In"! Mi sposto così per l'ennesima volta a Milano: appuntamento presso uno dei suoi hotel più sfarzosi ed iconici.
Rispetto all'accoglienza un pò informale di Ronnie, lo staff di Coverdale segue rigidamente l'iter "burocratico", con tanto di anticamera nei corridoi dell'hotel. Parlo di staff, perché all'appuntamento mi reco con un amico altrettanto fanatico dei Whitesnake, che vorrebbe soltanto una foto ed una firma su un album. Chiedo alla responsabile se sia possibile accontentare la sua richiesta, ed in tutta risposta mi si dice "non è professionale". Le dicessi delle condizioni in cui sono costretti a lavorare i giornalisti italiani, probabilmente non ci avrebbe creduto. Poi, magari, avremmo discusso di "professionalità", e di cosa comporterebbe in un "paese normale". Ma tant'è, dopo la nostra chiacchierata, Coverdale se ne sbatte dei protocolli: esce dalla camera e chiama l'amico in disparte, accontentandone i "desiderata". Evidentemente le star hanno meno grilli per la testa dei loro stessi "impiegati", altra lezione che ho largamente imparato nel corso degli anni.
ALESSANDRO ARIATTI
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