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MAGNUM "WINGS OF HEAVEN" (1988)



Dire che i
 Magnum sono una band sottovalutata è pure poco. Per qualità e livello qualitativo medio, in una carriera che si avvicina a quota 50 (anni), il gruppo inglese meriterebbe tranquillamente di stare nell'Olimpo di nomi leggendari quali Deep Purple o Led Zeppelin. Quando si parla di loro, infatti, dimenticate immediatamente dati di vendita o classifiche perché, mai come in questo caso, successo ed eccellenza si rivelano essere le famose convergenze parallele. Poco importa, sui gusti della massa non è lecito sindacare, dato che si vedono spesso nullità assolute svettare tra le preferenze generali. Quello che ci apprestiamo ad esaminare è il settimo album dei Magnum, che li trascina incredibilmente nella top 10 inglese: un "premio" minimo, soprattutto dopo aver inanellato un classico dopo l'altro, in una sequela di dischi imperdibili.

Il momento della "svolta" resta quello del capolavoro "On A Storyteller's Night" (1985), quando Tony Clarkin e soci decidono per la prima volta di mixare il loro suono epico e pomposo a gradevoli incursioni in territorio AOR/melodic rock. L'esperimento si ripete, persino in modo un pò sbilanciato (verso queste ultime) nel meraviglioso "Vigilante", così "Wings Of Heaven" arriva a puntino per ristabilire determinate gerarchie nelle coordinate stilistiche dei Magnum. Il perfetto punto di incontro tra i due lavori precedenti? Assolutamente si, senza ombra di dubbio. Ne sono la testimonianza brani di rara immediatezza, eppure pregne di enfasi eroica, come la strepitosa opener "Days Of No Trust", con quella chitarra che ondeggia tra bellissime armonie ed arpeggi "illuminanti". Oppure "Wild Swan", con un riff colorato di hard blues che mister Coverdale sarebbe stato felice di comporre per i suoi Whitesnake versione "class metal". La leggiadria di "Start Talking Love" è un altro tassello di maestria di scrittura ed arrangiamento da parte di Clarkin; brano dalle linee melodiche letteralmente sublimi, che proiettano Bob Catley nel gotha dei cantanti AOR di quel magico periodo.
A gentile conferma del postulato, ecco concretizzarsi la regale ballad "Must Have Been Love", con i Magnum sulle orme dei Journey, senza nemmeno troppi giri di parole, ed il cantante inglese nella scia di Steve Perry. Il rock pomposo di "Just Like An Arrow", indimenticabile episodio "straight to the heart" del masterpiece "On A Storyteller's Night", torna a farsi redivivo in "Different Worlds", senza peraltro sfigurare affatto rispetto al glorioso passato. Anzi, guadagnandone in termini di cristallina produzione.

Otto brani perfetti, nemmeno una nota fuori posto o parti ridondanti, caratteristica dei grandi dischi anni 80, che puntavano non tanto alla quantità, ma alla qualità. "One Step Away" suona sognante e sorniona, "Pray For The Day" viene sorretta da favolose geometrie melodiche, mentre la conclusiva "Don't Wake The Lion" è un tour de force di dieci minuti che riassume la filosofia artistica del gruppo, mixando perfettamente urgenza ed enfasi eroica.

I Magnum ritenteranno con convinzione ancora maggiore, ed una decina di possibili smash-hits, la carta d'imbarco per gli USA (destinazione Billboard charts) con lo strepitoso "Goodnight L.A.", che uscirà nel 1990. Giusto in prossimità di un drastico cambio di gusti e prospettive, con cui l'industria discografica affosserà tutta l'iconografia e la sostanza Eighties, sovvertendo completamente l'immaginario collettivo.
Un colpo di spugna calato dall'alto che non scalfisce minimamente la determinazione del gruppo, dato che i Magnum continueranno nei decenni successivi a proporre musica inedita con ritmo invidiabile ed incessante, garantendo sempre un alto livello qualitativo.


ALESSANDRO ARIATTI





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