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ALICE COOPER "CONSTRICTOR" (1986)



Il 1986 è anno di grandi cambiamenti, anche tra i pesi massimi. Il successo di dischi come "Under Lock And Key" (Dokken) o "Invasion Of Your Privacy" (Ratt) costringe gli esponenti della musica "dura" a fare i conti col calendario. La motivazione va sicuramente ricercata nella grande diffusione di "quel" suono cromato ed elegante, ma anche nell'intrinseco valore di certi esemplari che, solo in maniera postuma, verranno etichettati con lo stupido appellativo "hair metal". Non fa eccezione un'icona dello shock rock dei seventies come Alice Cooper, che ha bisogno come l'aria di un nuovo rilancio di popolarità a livello mainstream.

A dire il vero, certe tematiche horrorifiche sbandierate ai quattro venti dai Motley Crue di "Shout At The Devil", tanto per citare uno dei nomi più altisonanti, potrebbero essere viste come un "onda di richiamo" rispetto allo stesso Cooper degli anni 70. Quello che ci dava il "benvenuto nel suo incubo". La forma, invece, è nettamente differente, con il vecchio zio Alice che si contorna di sangue giovane (Kip Winger al basso) e muscoli inediti, come quelli dell'energumeno Kane Roberts. Chitarra a forma di mitragliatrice, fisico da Rambo, ed una voglia matta di spaccare il mondo. La posta in gioco è altissima: "Constrictor" determinerà l'inizio di una nuova giovinezza, oppure l'ingresso ufficiale in una poco invidiabile "terza età" artistica?

Per fortuna nostra, e dello stesso Cooper, le dieci canzoni che vanno a comporre il nuovo 33 giri conquistano i nuovi adepti dell'allora moderno heavy metal, grazie anche ad un suono sicuramente commerciabile, ma anche senza troppi compromessi. La produzione di Beau Hill e Michael Wagener (accreditato al mixaggio), pur rispettando l'ingombrante passato di Alice, ne ottimizza la resa, innalzando il tasso di intransigenza più di quanto fosse lecito attendersi. È vero che, in quegli anni, molte star dei seventies devono fare i conti col "decennio metal" per antonomasia, modificando la percezione di quanto espresso precedentemente: ma è altrettanto vero che la sapienza degli ingegneri del suono dell'epoca si manifesta nell'adeguamento dei propri canoni al soggetto interessato. Esattamente l'opposto di quanto accade oggi, con produzioni "in serie" indipendentemente dal protagonista di turno. "Constrictor" non rinnega affatto "l'armamentario" scenico di Cooper, semplicemente lo attualizza al periodo di riferimento, con l'iniziale "Teenage Frankenstein" che mostra immediatamente il suo status di papabile inno class metal. Stesso discorso per "Give It Up" o "Trick Bag", grazie a riferimenti nemmeno troppo velati ai Ratt contemporanei, per una "Crawling" dal mood decisamente glamour, ma soprattutto per una "Life And Death Of The Party" che si candida a "peso massimo" del disco.

Pare quasi che Cooper si sia sempre dedicato a questo genere musicale, tale è la maestria con cui viene costruito il brano. Altro highlight assoluto risulta "The World Needs Guts", col suo riffing di chitarra perentorio ed un chorus che suona quasi come "urgenza" messa in musica. Sono anche gli anni degli slasher movies, con le varie saghe di Halloween, Nightmare e Venerdì 13: volete che Hollywood si faccia sfuggire l'opportunità del ritorno in pompa magna di Alice? Giammai. Infatti "He's Back (The Man Behind The Mask)" è il brano portante del sesto capitolo dedicato al serial killer Jason Voorhees. Ritmo danzereccio e pesante allo stesso tempo, un testo che ben fotografa l'angoscia di fronteggiare uno degli "uomini neri" della fantasia popolare di quegli anni, ed un chorus che è la quintessenza dell'appeal commerciale.

Il redivivo cantante "from Detroit" farà ancora meglio nel successivo "Raise Your Fist And Yell", ulteriormente appesantito dalla produzione del chirurgico Max Norman, fino alla definitiva ri-consacrazione di "Trash" e di "Hey Stoopid". Tuttavia, se si vuole risalire alle origini della resurrezione, "Constrictor" resta il punto fermo da cui partire: buon viaggio.
E lo sarà sicuramente.


ALESSANDRO ARIATTI



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