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BLACK COUNTRY COMMUNION "V" (2024)


Black Country Communion è probabilmente l'unica band in circolazione a portare avanti il concetto di "super gruppo". Una situazione artistica molto in voga negli anni 70/80, basti pensare ad Emerson Lake & Pamer, Bad Company, Asia o Bad English, tanto per citare alcuni nomi appartenenti a diversi rami stilistici. C'è un motivo per cui, almeno in quei decenni, si trattava di una pratica piuttosto comune: i dischi si vendevano a suon di "milionate", e più i nomi coinvolti erano grossi, più si suscitava interesse per l'acquisto. Oggi il mondo è capovolto, e le stesse "star" preferiscono ricorrere ad una rigorosa autarchia nell'unica speranza di "abbattere i costi". Un mantra che, evidentemente, non riguarda solo il music business, ma tutta l'economia reale in recessione ormai endemica. Sono passati ben sette anni dall'ultima testimonianza in studio della band: un lungo periodo in cui Glenn Hughes è stato impegnato coi The Dead Daisies, Joe Bonamassa nella sua carriera solista, mentre Jason Bonham e Derek Sherinian hanno tenuto fede alla loro fama di "prezzemolini" nelle più differenti esperienze. Il nuovo album s'intitola semplicemente "V", proseguendo nella tradizione Zeppeliniana di numerare cronologicamente le uscite discografiche. Solo il terzo "Afterglow", peraltro l'episodio un pò meno riuscito, ha violato tale regola. Hughes vanta un pregio che, allo stesso tempo, potrebbe essere considerato anche un difetto: trasformare a propria immagine e somiglianza qualunque gruppo in cui è coinvolto. Persino col "mostro sacro" Deep Purple, Glenn riuscì a chiudere Blackmore in un angolino, affermando una personalità letteralmente straripante. Figuriamoci con gli altri. Non credo di esagerare se affermo che "V" potrebbe tranquillamente candidarsi ad una sua (parziale) prova solista, con il martellante groove di canzoni come "Enlighten" e "Red Sun" a ribadire quello che è, da sempre, il suo credo musicale. Hard rock sì, ma infarcito di shuffle, linee melodiche istrioniche, ed una sezione ritmica che si pone sullo stesso piano della chitarra. Joe Bonamassa riesce a dire la sua nel magnifico blues "Relentless", dove anche le tastiere di Kevin Shirley brillano per drammaticità negli arrangiamenti, ma il resto dell'album è veramente un blocco di granito. "Skyway" alza prepotentemente anche la quota del refrain, non esattamente il lato più prominente dei Black Country Communion, tuttavia (in questo caso) risulta assai probabile restarne contagiati. "Love And Faith" e "Too Far Gone" sono le tracce maggiormente "regolari" in un "mare magnum" di hard rock mutante, lontano erede di "Come Taste The Band" e dei Trapeze. Se non siamo davanti al disco dell'anno, poco ci manca.


ALESSANDRO ARIATTI




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