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BONHAM "THE DISREGARD OF TIMEKEEPING" (1989)



La vita dei figli d'arte non è quasi mai semplice.

Parlo ovviamente di replicare le gesta dei genitori, non di agiatezza a livello economico. Jason Bonham, figlio del grande John (Led Zeppelin, ovviamente), avrebbe tranquillamente potuto campare di rendita, visto che il catalogo del "Dirigibile" più famoso della storia del rock rimane ancora oggi tra i più gettonati in assoluto.

Evidentemente vivere sugli allori della famiglia non fa parte del DNA di Jason, nato praticamente con le bacchette in una mano ed il biberon nell'altra. È celebre anche un passaggio del film/concerto "The Song Remains The Same", in cui si vede il giovane pargolo alle prese con una piccola batteria al fianco di papà.

Bonham junior inizia a pestare i tamburi fin dalla tenera età (4 anni), ed ancora minorenne entra negli Airrace, che tratteremo in futuro su questa rubrica. Tocca poi ai Virginia Wolf, coi quali registra un paio di album, prima di unirsi a Jimmy Page stesso per l'incisione del suo eccellente album solista "Outrider" (1988).

In un brano, esattamente "The Only One", si aggrega alla combriccola anche Robert Plant, per una fugace reunion dei 3/4 dei cognomi Led Zeppelin.

La rimpatriata verrà completata con l'esibizione per il quarantennale della Atlantic Record in quel di New York, e Jason riscuoterà commosso l'approvazione dei tre ex compagni del padre, John Paul Jones compreso. È tuttavia solo nel 1989 che decide di fondare un gruppo che cita fin dal nome l'illustre passato di famiglia: inizialmente il ruolo di cantante avrebbe dovuto essere ricoperto da Chris Ousey, dai succitati Virginia Wolf, ma poi la scelta ricade sul canadese Daniel McMaster. A completare il quartetto, arrivano anche il bassista/tastierista John Smithson ed il chitarrista Ian Hutton, così "The Disregard Of Timekeeping" esce a settembre 1989, pochi mesi prima dello scoccare del nuovo decennio. Precisazione temporale importante per inquadrare un album che presenta tutte le principali caratteristiche del cosiddetto "hair metal", sia a livello artistico che estetico.

È un periodo in cui il ripescaggio delle sonorità Led Zeppelin diventano un must, ed i casi più eclatanti vengono rappresentati dai Whitesnake di "Still Of The Night", ma soprattutto dai Kingdom Come di "Get It On". Gary Moore arriverà addirittura a scrivere un pezzo come "Led Clones" nel disco "After The War", per non parlare di Robert Plant stesso, più impegnato a sputtanare il circus dell'epoca che a pensare all'inerzia della sua carriera da solista. Dico questo perché, coerenza per coerenza, mi sarei aspettato l'ex voce degli Zep sputare veleno anche sul "nipotino" Jason, che in canzoni come "Wait For You" (peraltro diventata un buon successo commerciale) o "Bringing Me Down", segue per filo e per segno la linea tracciata proprio dai Kingdom Come di Lenny Wolfe.

Hard rock estremamente piacevole, ficcante, eppure quasi totalmente soggiogato alle gesta degli "hammer of the gods", dove il padre svolgeva appunto il ruolo di "martello". Diciamo che la corazza primigenia viene smussata da quegli arrangiamenti sontuosi che fanno tanto anni 80, ma è innegabile che la sostanza ha un'origine ed un marchio ben precisi. Ovviamente la band opta anche per dinamiche ammiccanti e potenzialmente radiofoniche, come nel caso di "Guilty" e "Holding On Forever", nelle quali la naturale attitudine Plant-iana di McMaster viene affogata in cori di impatto immediato.

I Bonham torneranno sul mercato tre anni dopo, con un album quasi altrettanto valido dal titolo "Mad Hatter" ("Change Of A Season" canzone straordinaria), che ha l'unico torto di uscire fuori tempo massimo per il genere in questione. Ovviamente Jason continuerà a prestare il suo poderoso drumming in giro per il mondo, unendosi sporadicamente a gruppi dal grande richiamo come UFO, Foreigner e Black Country Communion. Tuttavia l'highlight della sua carriera, almeno a livello di vendite, rimarrà il CD/DVD live "Celebration Day", registrato assieme ai Led Zeppelin presso l'O2 Arena di Londra nel 2012.

Triste destino invece per il vocalist Daniel McMaster, morto prematuramente a 39 anni per le complicazioni causate da una polmonite.


ALESSANDRO ARIATTI







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