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DEEP PURPLE "=1"



"Andiamo avanti per i soldi? Certo, anche da giovani lo facevamo per soldi": è quanto dichiarano oggi i Deep Purple, o "quel che resta" del gruppo. Nello specifico, solamente Ian Paice può essere considerato un membro originale, visto che Ian Gillan e Roger Glover subentrarono per la fase Mark 2, ovvero quella più nota e (tornando al discorso denaro) remunerativa della storica band inglese. Che sia una questione di dollari oppure no, quel che preme considerare in questa sede è se la proposta musicale degli autori di "Smoke On The Water" sia ancora di livello, non dico dei classici, ma almeno dell'ultima, lunga fase con Steve Morse. Già, perché nonostante io sia un fanatico dei Deep Purple da ben 40 anni, ovvero dal ritorno nel 1984 con "Perfect Strangers" (la discografia precedente venne recuperata "dopo"), mi sono accorto di avere assistito a più concerti con il succitato Morse (sei, se non vado errato) rispetto a quelli con Ritchie Blackmore (tre). Scomparso Jon Lord, altro elemento non sostituibile con un semplice "rimpiazzo", l'eredità artistica è stata comunque preservata fino ai giorni nostri. Dico preservata e non elevata perché, nonostante Steve sia stato (e sia tuttora) un chitarrista tecnicamente INCREDIBILE, il suo stile si è sempre "adattato" ai Deep Purple, e soprattutto ai voleri di Gillan, non viceversa. Forse in "Purpendicular", con le scorie del divorzio da Blackmore ancora calde, Morse si è sentito nella posizione di osare di più, con quella "Sometimes I Feel Like Screaming" che può figurare nella sezione "greatest hits" della band. Ma poi? Nonostante una copertina orribile, "Bananas" fu probabilmente l'album maggiormente song-oriented; per il resto, una sequela di dischi sì buoni ("Now What?" ed "Infinite" su tutti), ma privi di quella spinta rock che hanno fatto dei Deep Purple uno dei gruppi più distinguibili della storia. Don Airey col pilota automatico, Ian Gillan in versione "crooner" anche per sopraggiunti limiti di età, e Morse che li accontenta senza tanti problemi. Diverso il discorso live, quasi sempre su livelli di eccellenza, ma se hai per le mani una "Highway Star" o una "Space Trucking" da riproporre perennemente, difficile sbagliare colpo. "Whoosh" resterà quindi il disco che chiude per sempre la "Mark 5", al netto del coveraggio su "Turning To Crime", ed assegnando il numero "4" all'unico episodio discografico con Joe Lynn Turner al microfono ("Slaves And Masters"): sono però sicuro che i "diehard" fans della band nemmeno lo considerano. Uscito Steve Morse, è "l'ultimo arrivato" Don Airey a scovare la nuova sei corde per i Deep Purple, quel Simon McBride con cui aveva precedentemente collaborato sul solo album "One Of A Kind". A differenza del suo predecessore, trattasi di musicista dalle solidi basi hard rock e blues, nulla a che fare con fraseggi prolungati o dinamiche fusion.


E si sente. Il cambio di marcia resta infatti ben impresso nell'iniziale "Show Me", probabilmente uno dei brani più duri del gruppo dall'epoca di "The Battle Rages On", con chitarra e Hammond che "schermagliano" come ai tempi migliori. La folgorazione creativa continua su "A Bit On The Side", le cui tentazioni progressive rimandano alle geometrie di "The Unwritten Law" (da "House Of Blue Light"): la produzione non può ovviamente essere la stessa del 1987, ma la sostanza è piuttosto assimilabile. Non è tutto oro quello che troviamo su "=1", perché già con "Sharp Shooter" la tensione cala notevolmente: non si capisce poi perché Gillan abbia voluto ironizzare su "Shot In The Dark" degli AC/DC, dato che le lyrics citano testualmente "a sharp in the dark is like a walk in the park", parafrasando il refrain degli australiani "a shot in the dark beats a walk in the park". Misteri che, magari, verranno svelati in sede di qualche intervista non trita e ritrita. "Portable Door" è il primo singolo/video che abbiamo potuto ammirare mesi fa, col suo "portamento" stilistico alla "Pictures Of Home", sempre a dimostrazione di una mezza voglia di tornare al sound più classico dei Purple. La "mezza voglia" è addebitabile probabilmente al solito Ian Gillan, che non può più mantenere determinati livelli, e preferisce rifugiarsi in un'autorialità rispettabile, ma a volte un pò noiosa. È il caso di "I'm Saying Nothing" o di "Money To Burn", dove il deja-vu Morse-iano diventa stucchevole, coinvolgendo anche la chitarra di McBride, che deve fare buon viso a cattivo gioco. Tutt'altro il livello quando si torna a giocare all'hard rock serio, vedi la strepitosa "Lazy SOD", una delle pochissime occasioni in cui la tastiera di Airey può rivaleggiare con la maestosità di Lord, oppure l'elegante "Pictures Of You" ed il suo chorus squisitamente vintage. Il blues si ritaglia un'importante spiraglio in "If I Were You" ed in "I'll Catch You", tanto che le linee melodiche diventano improvvisamente incantevoli e gli assoli di McBride pure. I brani sono ben 13: ci si devono "sorbire" anche tracce non propriamente esaltanti ("Now You're Talking", "Bleeding Obvious"), che ricordano i momenti meno ispirati dell'epopea Morse. "=1" contiene almeno 7 perle di rara bellezza, tuttavia avrebbe sicuramente beneficiato di qualche robusta sforbiciata: ma poi, chi l'avrebbe detto a mister Gillan? 


ALESSANDRO ARIATTI 




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