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DREAM THEATER: DISCOGRAFIA COMMENTATA 1989-1999


Inutile sottolineare come il rientro di Mike Portnoy nei Dream Theater sia stata LA notizia degli ultimi mesi. Sono passati ben quindici anni dal suo ultimo studio album ("Black Clouds & Silver Linings") con la band di cui fu co-fondatore verso la metà degli anni 80, assieme al bassista John Myung ed al chitarrista John Petrucci. Dopo la lunga parentesi con Mike Mangini, si serrano nuovamente le fila, ed è innegabile l'attesa (hype, dicono oggi quelli "bravi") che ruota attorno alla realizzazione della nuova prova da studio del gruppo di New York. Se il succitato Mangini, al di là di una maestria tecnica indiscussa, non ha praticamente mai contribuito in fase di scrittura, lasciando campo libero alla "logorrea" di Petrucci, ora le cose sono destinate nuovamente a bilanciarsi. Proprio perché Portnoy non è solo un motore ritmico, ma anche un propulsore di idee creative: da sempre. Nell'attesa di scoprire che tipo di materiale i Dream Theater hanno approntato per l'occasione della reunion col "boss", approfitto dell'occasione per ripercorrere il primo decennio della loro ormai infinita discografia. Con il contributo fondamentale dell'amico Giovanni "Joe" Privitera, grande fan e formidabile esperto della band. Buon viaggio.


"WHEN DREAM AND DAY UNITE" (1989)


Pochi si accorgono dell'esordio dei Dream Theater. Pochi ma buoni, come si suol dire. Ricordo infatti che, fra quei "buoni", ci fu un certo Beppe Riva che, col suo infallibile fiuto, non esitò a scaraventare "When Dream And Day United" nella colonna riservata al top album di Metal Shock. Fino ad allora il "non plus ultra" del metal progressivo era relegato tra i solchi di un "No Exit" (Fates Warning), tanto per capirsi, e non si fatica certo a comprendere l'entusiasmo suscitato da brani come "Fortune In Lies" e "The Killing Hand", con la loro drammaticità da soundtrack abbinata a repentine accelerazioni dalle parti del thrash. Si può certamente sostenere che, probabilmente, Charlie Dominici (proveniente dall'AOR dei Franke And The Knockouts) non sia la scelta più verosimile per dar voce ad un suono così fuori dagli schemi. Così come si può obiettare sulla produzione troppo scarna di Terry Date, che seppellisce le tastiere di Kevin Moore. Eppure i semi di quel rigoglioso albero chiamato Dream Theater sono già tutti qui. Basta saperli cogliere.




"IMAGES AND WORDS" (1992)


Nel 1992 l'heavy metal viene preso a bastonate dal grunge, dall'alternative e dall'estremo. Quando esce "Images And Words", non sono molti coloro che si ricordano ancora di "When Dream And Day United", uscito ben tre anni prima. Si pensa al classico fulmine a ciel sereno, nonostante un sound mutante che potrebbe anticipare ulteriori sviluppi estetici. Ed invece: boom! Non solo i Dream Theater alzano di brutto l'asticella con l'ingresso di James LaBrie (ugola pazzesca proveniente dai Winter Rose, band dedica ad un canonico class metal 80's), ma pongono le fondamenta per la "resistenza" del genere. Al di là della bellezza di canzoni che tutti conosciamo come "Pull Me Under", "Take The Time", "Surrounded", "Learning To Live", dopo questo album nessuno si sentirà più in dovere di giustificarsi per la presenza di canzoni lunghe, assoli insistiti e voci spinte al massimo. Non voglio dire che l'imminente ondata power della seconda metà dei 90's sia direttamente figlia di "Images And Words", ma di sicuro il suo clamoroso successo ne autorizza la nascita. Un rigurgito di fierezza HM? Può essere, ma sancita da un album capolavoro. La stessa produzione di David Pratt (Firehouse) suona molto anni 80, con quel riverbero nella batteria di Portnoy che oggi fa storcere il naso a qualcuno, ma che all'epoca tutti (e sottolineo TUTTI) magnificammo per pulizia e maestosità. Sulla base di "Images And Words" nasceranno molte realtà dedite alla commistione tra metal e progressive, spesso e volentieri foriere di inutili tecnicismi, malamente finalizzati alla creazioni di songs inutili. Non è certo il caso dei Dream Theater.





"AWAKE" (1994)


Il successo di "Images And Words" induce i Dream Theater a dare continuità alle uscite da studio. Le aspettative che circondano "Awake" non sono certo paragonabili a quelle, estremamente contenute, che accompagnarono il seguito di "When Dream And Day Unite". Ricordo francamente pochi dischi, almeno negli anni 90, circondati da una simile aura di febbrile attesa. Nel frattempo il mondo del metal ha testimoniato l'esplosione dei Pantera che, con "A Vulgar Display Of Power" e "Far Beyond Driven", spostano l'attenzione verso un groove selvaggio e spietato. Non si può certo affermare che "Awake" ne sia un erede (neppure illegittimo), tuttavia è innegabile come i Dream Theater del 1994 "sporchino" in alcuni frangenti il proprio suono cristallino, rinnegando in parte l'algida pulizia di "Images And Words". Anche in questo caso, diventa persino stucchevole nominare titoli di canzoni entrate legittimamente nell'immaginario collettivo, perché Petrucci e compagni versano in uno stato di grazia compositivo francamente imbarazzante per la concorrenza. Si può dire soltanto che, col senno di poi, "Awake" resisterà probabilmente meglio allo scorrere del tempo, per quel suono "futuribile" che cozza contro quello vintage 80's del suo predecessore. La preferenza per l'uno o l'altro è una semplice questione di gusti personali. Dopo questo disco, purtroppo, finirà la partnership col tastierista Kevin Moore, geniale arrangiatore e sopraffino esecutore. I suoi sostituti saranno ovviamente all'altezza, tuttavia quell'alchimia guitar/keyboards dalle visioni pittoriche non sarà più la stessa.





"FALLING INTO INFINITY" (1997)


Si torna ad aspettare tre anni per una nuova release in casa Dream Theater. Stavolta il motivo è contingente all'equilibrio della band, perché un rimpiazzo di Kevin Moore non si trova certo dietro l'angolo. Il personaggio giusto viene individuato in Derek Sherinian, turnista di lusso e già ingaggiato in precedenza da Alice Cooper e Kiss. Il nome provoca un pò di tremarella tra i fans duri e puri della band newyorkese, terrorizzati dalla possibilità di una "commercializzazione" del gruppo. Quando poi gli aficionados scoprono che il primo singolo "You Not Me" sarebbe stato scritto in collaborazione con Desmond Child (su suggerimento dello stesso Sherinian), guru del pop metal mainstream 80's, si rischiano crisi isteriche. Sicuramente si tratta del brano più "semplice" di tutto il lavoro, ma non si pensi ad un ammiccamento (tardivo) verso una scena ormai in fase agonizzante e relegata all'underground. L'album ha un suono maggiormente 70's, merito o colpa dell'approccio di Derek alle tastiere, completamente diverso dallo stile di Moore, quindi più ritmico e meno narrativo. Detto ciò, ed al netto di "You Not Me", "Falling Into Infinity" non tradisce tentennamenti di sorta, e songs come "Peruvian Skies", "New Millennium" o "Lines In The Sand" possiedono tutte le qualità per soddisfare le esigenze dei loro fans. Sherinian non sarà mai considerato un "membro effettivo" della band, che infatti andrà immediatamente alla ricerca di un sostituto che parli lo stesso linguaggio musicale.






"SCENES FROM A MEMORY" (1999)


La scelta del nuovo mago della tastiera avviene dopo l'esperienza dei Liquid Tension Experiment, progetto nato dalla mente iperattiva di Mike Portnoy. L'incontro con Jordan Rudess è infatti determinante, e la sua incredibile tecnica conquista sia il batterista che John Petrucci, anch'egli coinvolto nel quartetto dopo il rifiuto di Dimebag Darrell dei Pantera. Quello che si prospetta all'orizzonte è un autentico "clash of instruments", cosa che avviene puntualmente durante la registrazione di "Scenes From A Memory". Terzo keyboards player, terzo stile completamente rinnovato rispetto ai due predecessori. Kevin Moore può essere definito il maestro degli arrangiamenti, colui che prende le canzoni e le abbellisce come nei particolari di un quadro. Derek Sherinian è il "ritmico" della situazione, mentre Jordan Rudess ingaggia autentiche "battaglie" sonore con Petrucci, elevando lo strumento praticamente a pari livello. Concept basato su una storia di redenzione e reincarnazione (la famosa Victoria che rende conto al protagonista Nicholas), l'album rappresenta sicuramente uno dei momenti più alti di tutta la discografia Dream Theater. Peraltro, oltre al consueto maelstrom di note, "Scenes From A Memory" presenta alcuni elementi stilistici precedentemente mai affrontati dal gruppo from New York city. Come i cori gospel di "The Spirit Carries On", inseriti in un contesto artistico che cita apertamente i Pink Floyd di "Comfortably Numb": "if I die tomorrow, it will be all right, because I believe that after we're gone, THE SPIRIT CARRIES ON". Chi può dimenticare un refrain simile, che mette i brividi solo evocandolo? Per non parlare di "Through Her Eyes", forse la ballad più rilassata ed atmosferica del loro intero repertorio. Ovviamente il disco non è solo pezzi lenti e struggenti, il primo singolo "Home" è un fiume in piena, dove Rudess inizia fin da subito a mostrare un'invadenza esecutiva che nessuno dei precedenti tastieristi si era mai concesso. Tuttavia, in futuro, sarà destinato a fare ancora di più: e non sempre sarà un bene, anzi. "Scenes From A Memory" fu votato miglior progressive rock  album della storia dai lettori di Rolling Stones, battendo "2112" dei Rush e "Close To The Edge" degli Yes. Penso che basti per certificarne il valore.




ALESSANDRO ARIATTI

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