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HELLOWEEN "CHAMELEON" (1993)



Se conoscete una persona che, ai tempi dell'uscita di "Chameleon", si prodigò non dico in lodi sperticate, ma almeno in una difesa più o meno strenua degli Helloween, vi prego di presentarmela.

Già "Pink Bubbles Go Ape" fece storcere il naso ai puristi dei due "Keeper", d'altronde una perdita come quella di Kai Hansen non è un "trauma" che si possa metabolizzare in poco tempo. Se aggiungiamo la "ruggine" intercorsa tra il 1988 ed il 1991, anno in cui cambia praticamente tutto nella scena heavy metal, la frittata è fatta. Ormai gli Helloween vengono visti come un "arnese" obsoleto, assolutamente non in grado di misurarsi con le nuove realtà, che sembrano sul punto di fagocitare in un sol boccone tre decadi di musica dura.

Cazzate, ovviamente, ma è il senno di poi che ne certifica il miserrimo fallimento.
Arriviamo al 1993, quando il nuovo album "Chameleon", nuovamente rilasciato dal colosso EMI, fa la sua bella comparsa nelle vetrine dei negozi. CD singolo per chi si è già convertito al nuovo metodo di fruizione delle sette note, addirittura doppio LP per quei dinosauri che, come il sottoscritto, resistono ancora sui bastioni dell'analogico. Parliamoci chiaro: è veramente così brutto "Chameleon"?

Facile, oggi, rispondere con un "assolutamente no". Salite sul bolide di Ritorno al Futuro guidato da Doc e Marty McFly, programmandolo a 29 anni prima, poi scendete, e provate a sostenere la vostra tesi ai quattro venti: il rischio di venire linciati vi sembrerà molto concreto.
Iniziamo dal suono. Credo di non esagerare se sostengo che "Chameleon" è ancora oggi il disco che gode della migliore produzione di cui gli Helloween abbiano mai beneficiato. E non mi riferisco soltanto alle uscite precedenti, ma anche a quelle successive. Certo, la qualità di un album non si può unicamente misurare sulla base di questo parametro, ci mancherebbe. Ed è qui che iniziano le note dolenti. Già, perché il disco si divide tra due anime totalmente in contrasto tra loro: una più seriosa ma estremamente affascinante, l'altra decisamente ridanciana e scanzonata. In quest'ultima categoria va ascritta l'opener "First Time", possibile inno "happy" con ritmica mutuata dalle marce trionfali di una "Future World" o di una "I Want Out", ma anche il primo singolo "When The Sinner", con i suoi echi pop che la rendono un'evoluzione in chiave easy di "Number One". Molti non la sopportano tuttora, personalmente trovo il suo crescendo melodico un'autentica goduria uditiva: ma qui si entra ovviamente nella sfera dei gusti e delle preferenze individuali.

Aggiungo che "Instant Clarity", primo album solista di Michael Kiske, attingerà a piene mani dalle soluzioni armoniche e dinamiche della song in questione. Nella prima categoria si inseriscono invece canzoni maestose come l'epica "Giants" e la drammatica "I Believe", due delle canzoni più belle mai uscite sotto il banner Helloween. E non importa se si tratta di maestosi mid tempo anziché fucilate speed/power, perchè se è vero che la musica si misura in termini di intensità, qui ci troviamo all'apice della sfera emotiva. Purtroppo, ad altre tracce eccellenti come l'orecchiabile hard rock piece "Step Out Of Hell", la sbarazzina "In The Night" (Kiske stratosferico), e la riflessiva "Music", si alternano alcuni tra i pezzi meno riusciti dell'intero catalogo del gruppo.

In primis l'abominevole "Crazy Cat", una sorta di Elvis Presley/Frank Sinatra "wanna be", che si perde tra improbabili peripezie vocali ed una sezione fiati ai limiti del ridicolo. Non è da meno "I Don't Wanna Cry No More", ballad dedicata da Roland Grapow al fratello prematuramente scomparso, ma completamente inadeguata a trasmettere il benché minimo senso di tristezza per il quale, presumo, sia stata originariamente scritta. All'elenco non può mancare ovviamente "Windmill", un lentone "natalizio" talmente smielato da poter essere consigliato a qualche pubblicitario, come colonna sonora ideale per uno spot in stile Mulino Bianco. "Revolution Now" si pone invece nel mezzo, perché se la sintassi della canzone risente di qualche spiffero alternativo, non gli si può negare un fascino vintage che, tutto sommato, funziona assai bene. Lo stesso discorso vale per "Longing", accattivante il giusto, senza tuttavia mai scadere nella trappola della filastrocca per bambini, evocata precedentemente dalla succitata "Windmill".

I risultati commerciali di "Chameleon" sono disastrosi, e la puzza di scioglimento sembra già aleggiare a pochi mesi dalla sua uscita. Le cose andranno diversamente, con gli Helloween che sapranno risorgere dalle loro stesse ceneri come l'araba fenice.

Ma questa è un'altra storia, che peraltro tutti conoscono. Se devo essere sincero fino in fondo, non sono molti gli episodi dell'era Andi Deris che personalmente reputo superiori a "Chameleon": diciamo che li conto sulle dita di una mano.

Provate ad indovinare i titoli. E qui ci starebbe bene un emoticon.


ALESSANDRO ARIATTI




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