Anticipato dal singolo "Mr. Ego", uscito completamente in sordina, "Master Of The Rings" deve il proprio titolo ad una sorta di "errore" comunicativo. Dice infatti Weikath: "Il cd avrebbe dovuto chiamarsi semplicemente 'Masterings', riferendosi alle registrazioni che furono un pò travagliate. Però gli altri lo trovarono brutto, così decidemmo di cambiarlo". La copertina con gli anelli non deve quindi trarre in inganno: i riferimenti all'opera di Tolkien sono totalmente inappropriati. Discorso diverso per il contenuto dell'album: un ritorno allo speed di fine anni 80? No, però un suono sicuramente più consono ai "desiderata" di ogni fan di lunga data degli Helloween. Siamo verso la fine del 1994 quando esce nei negozi il disco, e vi assicuro che nell'aria si respirava già una gran voglia di "restaurazione". Probabilmente è esagerato considerare "Master Of The Rings" come il "beginner" della riscossa power che avrebbe raggiunto il culmine sul finire del decennio: in fondo erano già usciti "Somewhere Far Beyond" dei Blind Guardian, "The Reaper" dei Grave Digger, "Pile Of Skulls" dei Running Wild, ed i primi lavori su T&T/Noise degli Stratovarius. Eppure ci voleva un nome già affermato su larga scala, un "nobile decaduto", per suonare la carica della riscossa. Mentre Judas Priest ed Iron Maiden sono alle prese coi loro problemi esistenziali, il cui punto di origine è un mercato definitivamente cambiato, gli Helloween tentano di riempire proprio quel vuoto. Ovviamente il "catino" non è numericamente paragonabile, eppure sono tempi difficili per l'HM 80's: o mangi questa minestra o salti dalla finestra, finendo tra le braccia dei "grungettoni". Inutile dirlo, la maggior parte dei reduci del precedente decennio assapora il piatto, trovandolo pure molto appetitoso.
Abituati alla lirica voce di Michael Kiske, una fetta piuttosto consistente di fans fatica ad abituarsi alla tonalità più stradaiola di Andi Deris, ma altri (compreso il sottoscritto) giudicano questa combinazione assai stimolante. D'altra parte, se provieni da una band dedita al class/street come i Pink Cream 69, il problema non è certo tuo, ma di chi ti ha scelto. Problema per modo di dire, ovviamente, perché "Master Of The Rings" riceve un'accoglienza che riporta a fasti passati, e che sembravano ormai definitivamente sepolti sotto le macerie di "Chameleon". Prodotto superbamente da Tommy Hansen, il disco mostra la sua forza principale proprio nel connubio tra l'anima power e le inflessioni più hard rock di Deris, peraltro compositore di buona parte dei brani. In "Why?", un quasi AOR irrobustito in funzione Helloween, si sente particolarmente l'eredità dei già citati Pink Cream 69, ma nessuno se ne lamenta. Anzi, si tratta di un pezzo che ancora oggi viene accolto con un boato quando eseguito in sede live. "Sole Survivor" e "Where The Rain Grows", poste opportunamente in apertura, rappresentano il più evidente anello di congiunzione con il glorioso periodo dei due "Keeper": gli aficionados non attendevano altro!
La scanzonata leggiadria, che ha letteralmente creato un sottogenere di metal, si ritaglia spazio in "The Game Is On" ed in "Perfect Gentleman", mentre le sterzate speed trovano asilo su "Take Me Home" e "Still We Go". Da menzionare anche "Secret Alibi", un mid tempo cromato stranamente scritto da Weikath, quasi "su commissione", appositamente per l'ugola di Deris: traccia perfetta, sulla falsariga della splendida "Take Those Tears" (Pink Cream 69). "Master Of The Rings" riporta gli Helloween ai livelli che competono loro, ed è l'inizio di un filotto di album quasi universalmente apprezzati come "Time Of The Oath" e "Better Than Raw". Tuttavia, se si vuole risalire alle origini di una rinascita più unica che rara, è da qui che si deve partire.
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