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VIXEN "VIXEN" (1988)



Le Heart, ed uso il femminile perché ho sempre identificato la band nelle sorelle Ann e Nancy Wilson, irrorano di classe e melodia le classifiche americane grazie all'omonimo album, ed in particolare a "Bad Animals". Il super singolo "Alone", soprattutto, una sorta di versione "rosa" di "Don't Stop Believing" dei Journey, sbanca i botteghini come nessun altro brano nella lunga storia della band. Normale che, a traino, si propongano una serie di gruppi del gentil sesso pronti a seguirne la scia profumata di dollari e fans in visibilio.

Le Vixen, formate dalla cantante/chitarrista Janet Gardner, dalla chitarrista Jan Kuehnemund, dalla batterista Roxy Petrucci e dalla bassista Share Pedersen, sembrano essere candidate come la "next big thing" del pop metal. Quando infatti esce il loro esordio autonominale, la congiunzione astrale intersecata tra media televisivi e magazine (ovviamente cartacei) sembra propizia a spianare loro la strada verso un'affermazione su larga scala. Detto, fatto. "Vixen" suona esattamente come l'album giusto al momento giusto, con la corretta dose di grinta ed una notevole cifra di ruffianeria. L'effetto risulta palese appena partono le note dell'opener ed anche primo singolo "Edge Of A Broken Heart", scritta in modo magistrale da un Richard Marx che vorrebbe replicare l'impatto di "You Give Love A Bad Name" dei Bon Jovi.

Il songwriting approntato per le quattro "bambolone" va nelle direzione di ricoprire un intero panorama di rock al femminile, con "I Want You To Rock Me" che cita nemmeno troppo velatamente la Joan Jett dell'inno transgenerazionale "I Love Rock'n'Roll". A metà tra il Bon Jovi di "Runaway" e l'Aldo Nova di "Fantasy" si rivela invece la vivace "Cryin'", con le sue tastiere che spingono la ritmica: il fatto che, tra i credits della canzone, compaia pure la firma del "drago" dell'AOR Jeff Paris è una ulteriore conferma che le Vixen giocano con tutti i favori del pronostico. D'altra parte un produttore come Spencer Proffer, artefice dell'ascesa al numero 1 di Billboard da parte dei Quiet Riot di "Metal Health", non spreca il proprio oneroso tempo se non è convinto di avere scovato il cavallo vincente.

Dopo una "American Dream" che sfrutta tutti i cliché del caso, non poteva mancare una semi-ballad dalle dinamiche alla Heart come "Desperate", ed infatti il brano funziona benissimo, sia nei toni più vellutati che nelle sue impennate maggiormente hair metal oriented. Se in "One Night Alone" la mano di Jeff Paris si fa nuovamente sentire, col suo refrain trascinante e sornione, "Hell Raisers" si allinea a certe asperità Quiet Riot, ed infatti tra i compositori spunta anche il nome del boss Spencer Proffer. "Love Made Me" è AOR sopraffino, con il fantasma di Ann e Nancy Wilson che aleggia benevolo sopra la testa del quartetto e ne benedice idealmente il sentiero verso la fama.

Unica traccia in scaletta firmata interamente dalle Vixen risulta "Waiting", ottima nelle hooklines, un po' meno nelle strofe. Decisamente meglio la rutilante "Cruising", anche se una volta tanto il "melodic factor" viene sacrificato in favore di una elettricità hard rock piuttosto spinta, almeno per i canoni della band.

Tocca a "Charmed Life" l'onere di porre il sigillo sull'album, e la chiusura appare perfetta per sintetizzarne idealmente i contenuti, tra vitalità ritmica, freschezza compositiva (thanks to Mister Jeff Paris again), ed un'esecuzione molto frizzante.

"Vixen" non è certo un capolavoro, e la sensazione di trovarsi davanti ad un possibile "fenomeno" studiato a tavolino sembra molto più di un sospetto. Detto ciò, il disco si attiene fedelmente a tutti i canoni che, in quegli anni, possono indirizzare la carriera di un gruppo verso le alte sfere del mainstream e dell'airplay. I risultati commerciali sono buoni (disco d'oro negli USA), ma forse non esaltanti come ci si attendeva, nonostante una promozione battente e relativi tour a fianco di nomi altisonanti come Scorpions, Ozzy Osbourne, Billy Idol, Skid Row e Bon Jovi. Due anni dopo esce "Rev It Up", nettamente inferiore per incisività dei brani, il cui insuccesso spalanca le porte allo scioglimento. Viene effettuato un tentativo di reunion nel 1998 da parte di Roxy Petrucci e Janet Gardner, che ingaggiano Gina Stile delle Poison Dolls, ma l'album "Tangerine" è un tale flop che determina un nuovo split a distanza di un solo anno.


ALESSANDRO ARIATTI





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