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KEYS "THE GRAND SEDUCTION" (2024)


Mark Mangold è uno dei punti cardine del rock "tastieroso". Lo è stato in diversi contesti: assieme agli American Tears, ai Touch, ed ai Drive She Said, tanto per cominciare. Ma ha anche vestito i panni del songwriter di lusso presso Michael Bolton (suo il meraviglioso riff di synth in "Fools Game"), per la Cher del periodo AOR, nonché per Benny Mardones ed i The Law di Paul Rodgers, che si spartirono la sua "For A Little Ride". Due anni fa, l'incontro con Jake E, già voce di Amaranthe e Cyhra, per un meeting generazionale impostato teoricamente su un rock pomposo incentrato sulle tastiere. Il nome Keys, del resto, lascerebbe ben poco spazio a dubbi sulla filosofia dell'inedito duo. Se l'omonimo esordio, datato 2022, lasciava aperta la porta al vintage di ritorno, nonostante un fisiologico adattamento temporale, il nuovo "The Grand Seduction" mette da parte gli ultimi rigurgiti nostalgici. Il suono si indurisce, perché Mangold riproduce suoni di chitarra ritmica con la sua tastiera, innalzando flutti burrascosi nel bellissimo singolo "Vortex", il cui refrain ricorda molto da vicino gli Amaranthe di "The Nexus". Lo stesso drumming di Alex Lundberg (Kamelot e gli stessi Cyhra) sembra funzionale al tipo di sound impostato da Mangold, tanto da risultare algido, freddo, quasi cibernetico. I quasi dieci minuti della title-track sono sicuramente il lungo frammento stilistico più indicato ai vecchi fans di Mark, che toglie addirittura l'Hammond dalla naftalina. Tra i due "estremi" di orecchiabilità e complessità formale, troviamo pregevoli episodi di pomp/melodic rock 2.0 come "Skin And Bones" e "Shining Sails", mentre non convince troppo il groove "meccanico" di "All I Need". Che piacciano oppure no le scelte di Mangold, gli va riconosciuto coraggio nel cercare di rivitalizzare un genere che, troppo spesso, sembra ostaggio di imprescindibili cliché vecchi mezzo secolo: pena la scomunica. "The Grand Seduction" merita invece attenzione nell'ascolto ed imparzialità nel giudizio, perché la sua onestà intellettuale è fuori discussione. 


ALESSANDRO ARIATTI




 

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