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KISS "ASYLUM" (1985)



Non me ne vogliano le migliaia di Kiss-fans sparsi per la penisola, ma la mia versione preferita del gruppo resta quella "unmasked", quando Paul Stanley e Gene Simmons si gettarono nella mischia dell'hair metal imperante, con una foga da band agli esordi. Decisivo, come si è già sottolineato in precedenza, l'ingresso di un "martello" implacabile come il compianto Eric Carr, ma anche l'individuazione di Bruce Kulick come spettacolare esponente del genere più in voga al momento.

Al pari di tanti altri assi degli anni 70 (Alice Cooper, Aerosmith, Whitesnake), è grazie all'affermazione di band come Ratt, Motley Crue, Quiet Riot et similia, che i Kiss si trovano davanti un'inaspettata seconda chance, nonostante azioni sul mercato ampiamente al ribasso (vedi "The Elder").

"Asylum" esce nel 1985, ed è sicuramente il disco che fa da testimone tra la frastornante pesantezza metal di "Lick It Up"/"Animalize" e la fase molto AOR-oriented degli eccellenti "Crazy Nights" e "Hot In The Shade". Il suono che ne fuoriesce infatti è il perfetto anello di congiunzione tra le asperità dei primi Kiss senza trucco ed il tocco vellutato che Ron Nevison donerà alla successiva prova da studio. Nonostante ciò, "Asylum" non è affatto un brutto album, anzi. Se è vero che il drumming di Carr non perde nulla del suo approccio rutilante e selvaggio, è altrettanto evidente che le melodie iniziano ad assumere i connotati delle "big band" del periodo. Decisivo l'ingresso nel songwriting da parte di Desmond Child e Jean Beauvour, che sicuramente consigliano la band sulla direzione da intraprendere per ambire ad un ulteriore step a livello commerciale. E se il burbero Simmons rifiuta di collaborare col duo di hitmakers per le "sue" canzoni, Stanley accetta di buon grado il loro aiuto, decisivo per la realizzazione di alcuni brani che, nel corso degli anni, troveranno saltuariamente spazio tra le esibizioni live del gruppo.

L'opener "King Of The Mountain", ad esempio, è la versione "light" di "Exciter", con un chorus dal sapore più enfatico e meno "stradaiolo", ma è sui pezzi scelti come singoli che Paul riesce a dare il meglio. In "Who Wants To Be Lonely", tanto per capirci: ritmica tagliente, ma base melodica talmente ficcante da far concorrenza ai più illuminati "newcomers" del settore. Oppure su "Tears Are Falling", probabilmente l'episodio che anticipa in modo più sostanzioso la svolta class/AOR degli anni successivi. Per non parlare di "Uh! All Night", triviale party metal dal lungo refrain, strutturato chirurgicamente da un Desmond Child che inizia ad oliare il "meccanismo perfetto" del futuro inno spaccaclassifiche "You Give Love A Bad Name" (Bon Jovi, of course). Stanley si trova a meraviglia tra le ammiccanti pose hair metal, mentre Simmons deve far buon viso a cattivo gioco, ma questo è un aspetto risaputo che gli stessi protagonisti sottolineeranno negli anni a venire. Gene non si arrende all'evidenza, e mantiene alta la barra del rock'n'roll con la scatenata "Any Way You Slice It", ma anche in una "Trial By Fire" di immediata assimilazione.

Oltre al già summenzionato Carr, è la chitarra di Bruce Kulick a trasportare anima e corpo i Kiss negli anni 80, con quel tipico tocco, ipertecnico e spettacolare, che ha caratterizzato in modo indelebile il "decennio metal" per antonomasia. Checché ne dicano i revisionisti da tastiera, con tanta vena polemica e poca esperienza sul campo. "Asylum" diventa presto disco d'oro negli Stati Uniti e nel confinante Canada, aggiungendo l'ennesimo mattoncino alla ricostruzione della carriera di una band storica. Toccherà a "Crazy Nights" l'onere/onore di riportare i Kiss alle vette di popolarità di competenza, con ben quattro singoli (la title-track, "Reason To Live", "My Way" e "Turn On The Night") ad ampia diffusione mediatica. L'aggregazione all'itinerante Monsters Of Rock del 1988, che farà tappa pure a Modena assieme agli Iron Maiden, farà il resto.


ALESSANDRO ARIATTI





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