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KISS "CRAZY NIGHT" (1987)



"Quando esplose il movimento hair metal, ci accorgemmo che i Kiss non dovevano in realtà andare alla ricerca di nulla, per restare al passo coi tempi. Avevamo un esponente naturale in seno alla band, ed il suo nome era Paul Stanley".

Queste le parole di Gene Simmons (riferite al periodo del post "Creatures Of The Night"), il quale prosegue nel suo deja-vu: "in realtà avevamo già fatto il passo più importante, dal punto di vista estetico, togliendoci le nostre famose maschere che facevano tanto seventies, tutto il resto si rivelò la cosa più semplice del mondo per Paul".

Come dare torto al vampiro più famoso della storia del rock? L'attitudine di Stanley è sempre stata quella dello showman dai mille eccessi, sia scenici che vocali, con quegli acuti squillanti che sembrano una protesi genetica del trend tanto in voga in quel momento. Oltre, ovviamente, ad una sana dose di egocentrico protagonismo, da sempre presente nel DNA di "starchild".

Dopo le cannonate heavy metal del primo disco unmasked a titolo "Lick It Up", col prodigioso Vinnie Vincent alla sei corde (mai si erano sentiti dei Kiss così frastornanti), ed il suo fragoroso e logico seguito "Animalize", con la meteora Mark St. John al posto dello scontroso axeman italoamericano, la trasformazione si sublima in "Asylum". Il look di scena diventa sempre più sgargiante, le mosse da consumati posers caratterizzano i videoclip colorati di eccellenti canzoni dalla presa immediata quali "Tears Are Falling" e "Uh All Night", e non si deve certo imputare un simile "psycho circus" a Bruce Kulick, ennesima new entry alla chitarra.

Già la scelta e la successiva conferma ad oltranza di un batterista-picchiatore (Eric Carr), fin dai tempi di "Creatures Of The Night", procede nel "pensiero unico" di confrontarsi ad armi pari con la scena heavy metal, senza timori di sentirsi inadeguati. O peggio ancora vetusti. Tuttavia il percorso artistico di "affinamento", fino alla papabile candidatura di AOR-gods, giunge imperterrito alla sua sublimazione con "Crazy Nights" del 1987. Stanley e Simmons capiscono infatti che, per scalare nuovamente le classifiche come negli anni 70, necessitano di un suono più radiofonico e maggiormente improntato all'airplay. La scelta di Ron Nevison come produttore, che ha dato i natali ad alcuni classici firmati Survivor, Ozzy (il suo 33 giri più easy listening "The Ultimate Sin"), e Heart, sembra determinata proprio da questo auspicio. In effetti il primo singolo "Crazy, Crazy Nights", col suo ritornello pop e la sua ritmica quasi ballabile, è un biglietto da visita che esprime abbastanza fedelmente il contenuto dell'album. Il sound si "assottiglia", il drumming di Carr viene tagliato sulle frequenze maggiormente corpose, e le tastiere fanno spesso da accompagnamento piuttosto ingombrante a canzoni che hanno tutto (ma proprio tutto) per venire incontro agli appetiti dei fans del melodic rock. Mi riferisco in particolare alla sontuosa "My Way", alla ballad "Reason To Live", ed alla scoppiettante "Bang Bang You": tutti brani scritti e tagliati su misura per uno Stanley in forma canora strepitosa.

In ognuno di questi episodi spaccaclassifiche, compare lo zampino del Re Mida dell'epoca, al secolo Desmond Child, colui che l'anno precedente trasformò un volenteroso e talentuoso ragazzotto del New Jersey, di nome Bon Jovi, nella cosiddetta "gallina dalle uova d'oro" con la pietra miliare "Slippery When Wet", album trascinato verso la gloria dal "tormentone" a piede libero "You Give Love A Bad Name". A completare il quadro dei possibili hit di "Crazy Nights", arriva pure l'esplosiva "Turn On The Night", griffata dal duo Paul Stanley/Diane Warren, altra compositrice di rara prolificità ed al cui talento, in fase di scrittura, si è rivolto praticamente mezzo mondo musicale, da qualsiasi latitudine stilistica lo si guardi. In "I'll Fight Hell To Hold You", quasi la versione depotenziata di "King Of The Mountain", si conferma prepotentemente la tempra di Bruce Kulick, con i suoi lunghi assoli, tecnicamente ineccepibili eppure sempre dotati di una invidiabile sintassi armonica.

Pochi onori per Gene Simmons, con una "No, No, No" trascurabile e a dir poco fuori contesto, nonché una "Thief In The Night" che vorrebbe ripetere i fasti della quasi omonima "Thrills In The Night" da "Animalize", senza possederne la medesima brillantezza. Vanno meglio le cose con "Hell Or High Water" e "Good Girl Gone Bad", allineate al mood class/pop metal generale di un disco che vede brillare, come non mai nell'epopea dei Kiss, una stella sola: quella di Paul Stanley.


ALESSANDRO ARIATTI



 

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