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STEELER "STRIKE BACK" (1986)



Gli Steeler nascono a Bochum, Germania, sul finire degli anni 70. Inizialmente il nome scelto dal gruppo è Sinner, ma l'opzione viene abbandonata dopo aver scoperto che, in circolazione, c'era già un'altra band, sempre tedesca, con lo stesso banner. Dopo essersi definitivamente battezzati Steeler, il quintetto inizia la solita trafila, tra demotape, proposte discografiche e sogni di gloria. Sono anni che autorizzano le fantasie più ambiziose, il metal è il genere più seguito al mondo, ed i dischi vengono venduti a palate. Proprio dalla loro terra, infatti, i vari Scorpions ed Accept iniziano a mietere successi anche in terra statunitense e, nel loro piccolo, anche realtà certamente meno influenti ma altamente ammiccanti, tipo Warlock e Bonfire, stanno per spiccare il volo in cerca di gloria. Dopo un paio di album (l'omonimo esordio del 1984, ed il secondo "Rulin' The Earth" datato 1985) che lasciano già intravedere un songwriting di buona fattura, ed una convinzione di ferro, gli Steeler sfornano l'highlight della loro carriera con la pubblicazione di "Strike Back".

Il confine tra puro heavy e class metal appare molto labile, almeno in quel periodo storico; spesso e volentieri ci si imbatte in band che tengono i piedi in entrambe le scarpe. Gli stessi Accept sono reduci da un disco come "Metal Heart", che mette da parte la furia cieca di "Restless And Wild", per abbracciare un ibrido stilistico in grado di consentire loro una chance per lo sbarco nelle classifiche USA. Come molti sapranno, gli Steeler sono la palestra in cui il guitar hero Axel Rudi Pell, responsabile di una carriera solista piena di soddisfazioni, si costruisce i muscoli. E che muscoli! Prodotto da Frank Bornemann, mixato da Tommy Hansen, "Strike Back" vede infatti il biondo chitarrista cimentarsi nel suo riffing saettante e netto, artisticamente ancora lontano dalla folgorazione sulla via di Blackmore. Oltre a Pell, il quintetto è composto dal cantante Peter Burtz, dall'altro titolare della sei corde Tom Eder, dal bassista Hervè Rossi, e dal batterista Jan Yildiral.

L'equilibrio tra brani dal possibile potenziale commerciale, come "Money Doesn't Count" o "Messing Around", si alternano a fucilate ai limiti dello speed, vedi le anthemiche "Rocking The City" e "Chain Gang" . Probabilmente, voce a parte, il termine di paragone più calzante sembra quello dei Warlock dell'eterna metal queen Doro Pesch, anche se gli Steeler sarebbero titolari di prerogative maggiormente esportabili. "Icecold" si affaccia timidamente in territorio Dokken, tuttavia gli arrangiamenti non possono certo competere in termini di raffinatezza con la band di George Lynch. La title-track possiede un "tiro" micidiale, ed insegue da vicino nientemeno che gli straordinari Pretty Maids di "Back To Back", col frontman Peter Burtz nelle vesti di credibile replicante della mascolina attitudine autografata Ronnie Atkins. Stessa "solfa" per "Danger Comeback", una scheggia impazzita che non avrebbe affatto sfigurato su quel capolavoro che risponde al titolo di "Red, Hot & Heavy". La seguente "Night After Night" si candida a song maggiormente "commerciabile", prima che la conclusiva "Waiting For A Star", muscolare ballad dai toni epici, faccia calare il sipario su un lavoro dai contenuti irreprensibili.

Il successivo "Undercover Animal" sancirà lo scioglimento della band, con Axel Rudi Pell già proiettato mente e cuore verso la sua avventura solista, che diverrà foriera di grandi dischi ed altrettanto notevoli riconoscimenti da parte del pubblico. Difficile credere in ogni caso che, senza la pregevole gavetta esercitata in casa Steeler, il patinato axeman sarebbe stato in grado di realizzare un progetto così importante e duraturo nel tempo.


ALESSANDRO ARIATTI



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