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ARTENSION "PHOENIX RISING" (1997)



La Shrapnel Records è sempre stata l'etichetta specializzata e specializzanda in fenomeni dello strumento. Prevalentemente "electric guitar". Negli anni 80, al capo supremo della label, Mike Varney, va ascritto il merito indiscutibile di aver lanciato sulla scena autentici "draghi" della tecnica. Il più noto, ovviamente, risponde al nome di Yngwie Malmsteen, ma la lista sarebbe lunga, lunghissima. Mi limito ai più meritevoli: Vinnie Moore, Paul Gilbert, Jason Becker, Marty Friedman, Richie Kotzen, Tony MacAlpine. Vi bastano?

Ebbene, la decade successiva è un "different animal", per utilizzare un'espressione tipicamente americana. I virtuosi della sei corde sono in crisi profonda, soppiantati dal grunge mood, per il quale meno si studia meglio è. In tal modo, il rock'n'roll tornerebbe al suo spirito primordiale e genuino. Dicono loro, ovviamente. Guai se ci si perde in assoli prolungati o articolati. Peccato mortale: pena, l'inferno del rapido oblio.

Varney se ne sbatte altamente, e le suggestioni provate verso una pletora di chitarristi tecnicamente fenomenali, vengono automaticamente proiettate su un tastierista immediatamente definito il Malmsteen delle keyboards. Il suo nome è Vitalij Kuprij, origine ucraina, ed un pelo sullo stomaco da far invidia ad artisti ben più affermati. Gli Artension sono una band che gravita attorno ai suoi istrionismi, ma che potrebbe tranquillamente fregiarsi dell'appellativo "super gruppo". Della partita fanno parte anche il chitarrista Roger Staffelbach, il bassista Kevin Chown, il tentacolare drummer Mike Terrana e, dulcis in fundo, il cantante John West.

Il primo album "Into The Eye Of The Storm" suona più come una presentazione (pur se maestosa), ma il piatto forte viene servito col secondo lavoro "Phoenix Rising", nel quale l'amalgama tra i singoli membri si cementa nel nome di tracce per la maggior parte formidabili. Siamo dalle parti dei Rainbow e dei Black Sabbath (periodo Tony Martin), anche se il tutto viene rivisto nell'ottica progressive metal con cui il genere deve fare i conti nell'era post Dream Theater. Rispetto agli autori di "Images And Words", gli Artension si concentrano maggiormente sul concetto canzone, irrorando il sound di melodie magari non semplici, ma allo stesso tempo ben memorizzabili dopo qualche manciata di ascolti.

Le prestazioni strumentali sono da capogiro, ma è proprio questa la forza di "Phoenix Rising": la costruzione di songs "fatte e finite", al di là della meraviglia generata da una perizia tecnica così spinta verso il limite umano. La title-track, ad esempio, potrebbe diventare la "Seventh Star" degli anni 90, e lo stesso John West non disdegna tonalità calde, soffuse, ma contemporaneamente spettacolari, esattamente come quelle di Glenn Hughes sotto l'egida Black Sabbath. Stesso discorso per una "Valley Of The Kings" che eleva l'epic metal a forma d'arte contemporanea, pur rispettando la forma e la sostanza del regale passato. Proprio a riguardo di illustrissimo passato, "Blood Brothers" è probabilmente il pezzo che i Deep Purple non si sono più potuti permettere di scrivere (ed eseguire live) dopo l'uscita di Ritchie Blackmore, con un Hammond urticante sul quale si avventa un John West in pieno trip Turner/Bonnet. Su "Forbidden Love", il quintetto non rinuncia nemmeno ad intrufolarsi in dinamiche melodic rock/AOR, sempre con un occhio di riguardo verso la magniloquenza esecutiva. "Area 51", dal canto suo, è l'opener perfetta per sintetizzare, anche a livello di tematiche, il concept che si staglia superbo dietro al banner Artension.

Non mancano un paio di tracce ("Out Of The Blue" e "The City Is Lost") forse trascurabili per l'ascoltatore comune, anche se sicuramente più interessanti agli occhi di musicisti professionisti, magari dediti al settore di riferimento.

La produzione ad opera dello stesso Mike Varney suona molto old-style: un bene per i nostalgici degli anni 80, non esattamente il massimo per i cultori del "nuovo" power metal di stampo neoclassico che avanza, a furia di Stratovarius e cloni vari. Gli Artension non andranno oltre lo status di cult-band ma, ad onor del vero, i fasti di "Phoenix Rising" non verranno mai più replicati dai lavori successivi.


ALESSANDRO ARIATTI




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