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"FOR YOU": IN MEMORIA DI JACK RUSSELL



Sono gli anni in cui il "party è finito", quando è ora di raccogliere i cocci, le bottiglie vuote, ed i mozziconi di sigaretta. Dopo gli eccessi degli Eighties, già nel decennio successivo tutto ciò che viene identificato con "quel" momento storico viene messo sotto il tappeto come la polvere in eccesso. Scelta del pubblico? Ovviamente no, strategie di mercato studiate dall'alto. Tanto è vero che oggi, a distanza di 40 anni, le canzoni e gli eroi dell'epoca vengono trangugiati avidamente come preziosa acqua in quel deserto che è diventato attualmente il mondo rock/hard rock.

Tra i fortunati, ma non fortunatissimi (almeno rispetto alla qualità) esponenti dei fasti ottantiani, ci sono sicuramente i Great White, autori di album letteralmente sensazionali come "Shot In The Dark" e l'accoppiata "Once Bitten"/"Twice Shy". Il loro cantante, Jack Russell, resta ancora oggi una delle voci più armoniose e caratterizzanti della scena, con quella sua naturale predisposizione ai seventies che lo differenziava immediatamente dai colleghi di microfono. Nettamente più prossimo ad un Paul Rodgers che ad un Ray Gillen, tanto per capirci. Nonostante dischi sempre di qualità superiore ("Hooked", "Can't Get There From Here"), l'interesse verso la band sembra in progressiva picchiata, così Jack cerca di svincolarsi dal nome di un gruppo che sta diventando più il fardello di un passato poco gradito che un aiuto verso la riconquista della fama.

"For You" è il suo secondo disco solista, dopo quel "Shelter Me" datato 1996: una copertina semplice come la musica presentata, ma una formazione che lo accompagna da Olimpo del genere. Sto parlando di gente come Bob Kulick, Billy Sherwood, Tony Levin e Vinnie Colaiuta: avete presente? Spero di si.

Le undici canzoni che vanno a comporre l'album sono quasi spoglie di elettricità, ma non di carica rock, perché quella viene elargita a piene mani dall'ugola di Russell. Anche nei brani più ballad-oriented, la sua attitudine fa ancora tutta la differenza di questo mondo, tra quella che è l'insopportabile lagnosità 2.0 e le zampate da vecchi leoni. Dei Great White manca ovviamente il lato più spigoloso, ma l'inconfondibile ugola di Jack non può essere confusa con quella di nessun altro. L'opener "What Kinda Love" mette subito le cose in chiaro sul tipo di disco che ci si può attendere: linee melodiche meravigliose, una chitarra che si barcamena tra l'acustica e l'elettrica, nonché un drumming che accarezza col graffio. L'introspezione si fa ancora più profonda in "What Ever It Takes", sciorinando una perfezione esecutiva che parla il linguaggio del più nobile classic rock anni 70. La voce di Jack suona intatta ed immacolata in tracce che richiedono in primis pathos espressivo, come la dolce "Always" oppure la più ritmata "Don't Know Why". È questo il "codice" di lettura di un album che sicuramente non può accontentare completamente i fans duri e puri dei Great White, ma che esalta le diverse sfaccettature di un cantante assolutamente originale. Come nella strappalacrime "For You", ma anche con la gioiosa "The Best Is Yet To Come", songs nelle quali il "brand" Russell risulta talmente palese da sembrare esaltante.

Non convince totalmente lo sconfinamento nel "pop art" stile Beatles di "Where The Wind Don't Blow" e "Paradise", ma si tratta più che altro di una considerazione stilistica, perché formalmente la costruzione dei pezzi non fa una grinza. Ne è la dimostrazione "No Time Left", in cui l'ambientazione quasi southern regala emozioni senza tempo, ma anche "If Not For Love", impregnata di sapidi umori blues.

L'anno successivo (2003), nuovamente in concerto assieme ai Great White al club The Station, si verificherà una delle più grandi tragedie della storia del rock. Poco dopo l'inizio dello show, un fuoco pirotecnico gestito male incendierà completamente il locale, uccidendo cento persone (tra cui il chitarrista del gruppo Ty Longley) e ferendone altre 200. Una nefasta sliding door destinata ovviamente a pesare come un macigno sulla psiche di Russell.

Del posto non resta più nulla, se non un memoriale dedicato alle vittime.


ALESSANDRO ARIATTI 




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