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VAN HALEN "OU812" (1988)



Nonostante la separazione da David Lee Roth, che pare comunque lanciato verso una carriera solista densa di soddisfazioni, i Van Halen non conoscono la parola crisi. Merito sicuramente dell'unione artistica con un'autentica icona del rock a stelle e strisce, ovvero quel Sammy Hagar che aveva già fatto saltare di entusiasmo l'America a suon di "I Can't Drive 55". Per non parlare del suo coinvolgimento nei Montrose, il cui primo LP è considerato giustamente uno dei più grandi esordi di tutti i tempi. Se "1984" aveva conquistato platee sconfinate, "5150" ne ripete i fasti, giungendo al primo posto della classifica di Billboard, un'impresa che non era riuscita neppure al suo illustre predecessore.

Hagar non disdegna cantare su basi AOR ("Why Can't This Be Love?", "Dreams", "Love Walks In"), così come si sente invitato a nozze quando deve sputare l'anima nei brani più hard'n'heavy oriented ("Good Enough", "Best Of Both Worlds"). In quegli anni nasce addirittura l'appellativo Van Hagar, che sarebbe un modo sbrigativo ma intelligente per differenziare sostanzialmente l'operato dei due differenti vocalist: Dave l'entertainer, Sammy l'uragano. Al di là dell'irraggiungibile ed omonima opera prima (1978), capisco le ragioni sia dell'una che dell'altra "fazione", perché l'elevatissimo standard garantito dal fenomenale Eddie Van Halen non può nemmeno essere messo in discussione. È praticamente inizio estate 1988 (fine maggio) quando il nuovo album del gruppo "plana" nelle vetrine dei negozi, e ciò che balza subito all'occhio è la fotografia, in bianco e nero, di tutti e quattro i componenti. Hagar non è quindi più "solamente" il sostituito di Roth, ma viene riconosciuto ufficialmente come parte integrante del fantasmagorico successo incamerato dal succitato "5150", che invece ritraeva l'iconico culturista Lou Ferrigno (interprete di Hulk) in copertina. Il 33, giri, polemicamente intitolato "OU812" (oh ne hai mangiato uno anche tu?) in risposta ad "Eat 'Em And Smile" (mangiali e sorridi) di David Lee Roth, "estremizza" l'attitudine keyboards oriented del sei volte platinato predecessore.

In generale, si avverte meno "distacco" tra i brani più massicciamente heavy e quelli dalla spiccata pop metal attitude, merito sicuramente dei due ulteriori anni di coabitazione tra Eddie e Sammy. Un esempio lampante di tale esposizione stilistica è sicuramente "Mine All Mine", con quel ritmo incalzante che si amalgama ad un keyboards sound in grado di modellare il perfetto AOR hit. Si schierano dichiaratamente sul versante melodic rock anche il super singolo "When It's Love", con le sue armonie acchiappacuori, e la sinuosa "Feels So Good", dove sono nuovamente i sintetizzatori a condurre la danza. Diciamo che, rispetto a "5150", vengono limate certe asperità heavy, come nelle sincopate "Black'n'Blue" e "Cabo Wabo", con Sammy Hagar che incanta la platea grazie ad inflessioni vocali non lontane da un'attitudine soul. L'episodio "duro" più esaltante risponde al titolo di "Sucker In A 3 Piece", nella quale Eddie accende il turbo per uno dei suoi classici riff assassini, assecondato dalla batteria del fratello Alex letteralmente in modalità "on fire". "A.F.U. (Naturally Wired)" e "Source Of Infection" insistono sulla velocità di esecuzione in tipico stile Van Halen, ma è chiaro a tutti che, piacciano o non piacciano, le migliori peculiarità di questa fase del gruppo sono concentrate verso gli episodi più easy listening. D'altra parte, le esperienze pregresse di Sammy Hagar nel settore sono lì a dimostrarne le competenze come curriculum vitae.

Occorrerà attendere tre anni per rivedere nuovamente in commercio un nuovo album della band, quel "F.U.C.K." che, un paio di tracce a parte (su tutte "Right Now"), propenderà per un suono indiscutibilmente più guitar oriented. L'era dei sintetizzatori sembra arrivata al capolinea, ed i Van Halen ne prendono atto senza drammi, ma soprattutto senza fare mai mancare una qualità degna del nome.


ALESSANDRO ARIATTI




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