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BLACK SABBATH "ETERNAL IDOL" (1987)


Ci prova in tutti i modi, l'irriducibile Toni Iommi, a tenere in vita il nome dei Black Sabbath anche negli anni 80. La decade probabilmente meno adatta per valorizzare le tematiche oscure di un gruppo certamente fondamentale, ma che sembra ormai relegato ad un ingombrante passato. La cosa incredibile è che Ozzy vola verso un inaudito ed inaspettato successo grazie ai suoi album solisti, ed a giganteschi tour perennemente sold out. Mentre i Sabbath fanno fatica a riempire piccole venues. Dopo l'epopea con Dio, meravigliosa ma decisamente troppo breve, l'improbabile parentesi Gillan, che suscita prevedibile interesse ma che dura un battito di ciglia, ed il disperato tentativo con Glenn Hughes, Toni Iommi riparte praticamente da zero. Con il portentoso Ray Gillen, già star nel supergruppo Phenomena, nonché futuro partner in crime di Jake E Lee (ex Ozzy Osbourne, e si ritorna sempre lì) per la costituzione dei Badlands, Iommi entra in studio per le registrazioni del successore di "Seventh Star". I lavori sono praticamente finiti, manca soltanto la fase di "lucidatura" post produzione, quando Gillen si chiama fuori dalla situazione. "Non mi garantivano una sufficiente sicurezza economica" è la versione che gira nell'ambiente. Vero o no, Iommi si ritrova con un LP finito, ma interpretato da un cantante che ha già levato le tende. Che fare? Rilasciare il disco così com'è oppure mettere una pezza? Il baffuto chitarrista opta per la seconda soluzione, ingaggiando una promettente e semi-sconosciuta voce, il cui nome risponde a Tony Martin. Già chitarrista negli Orion e frontman degli Alliance, l'opzione Black Sabbath diventa sicuramente una di quelle occasioni che ti cambiano la vita, nonostante le quotazioni in ribasso. Martin viene quindi chiamato a reinterpretare totalmente le versioni di Gillen: nonostante una voce meno tagliente rispetto al fenomenale Ray, la sua ugola si rivela molto duttile e plasmabile. Rispetto alle incisioni originarie, Iommi può "doomizzare" leggermente di più la produzione, proprio grazie alle tonalità maggiormente grevi (alla Ronnie James Dio) di Martin. Se possedete la versione deluxe rimasterizzata del cd, potete verificare la superiore cifra melodica riservata a Gillen, anche negli assoli di Iommi e nelle trame tastietistiche del fedele Geoff Nichols. Questione di dettagli "postumi", ovviamente, visto che il 33 giri ufficiale esce a novembre 1987 nella forma riletta e rivista dal succitato Martin. "Eternal Idol" ha una gestazione sofferta e confusa, non solo nelle vicissitudini dei cantanti, ma anche nella giostra di musicisti che si occupano di basso e batteria (rispettivamente Dave Spitz/Bob Daisley e Eric Singer/Bev Bevan): tutto ciò si può percepire chiaramente in un mix un pò caotico, colpa anche dell'ibrido stilistico a cui sono soggette le diverse canzoni. Si passa da "The Shining", che sembra quasi un mix tra Dokken e Dio, ad una title-track catacombale, in cui Martin urla come un destinato ad essere sepolto vivo. Nel mezzo tanti bellissimi brani a metà tra class metal dell'epoca ("Born To Loose", "Hard Life To Love", "Glory Ride") e richiami al periodo "Heaven & Hell"/"Mob Rules" (vedi "Ancient Warrior", "Nightmare", "Lost Forever"). Il tour di supporto tocca anche il suolo italiano, ed il sottoscritto presenzia alla data al Palasport di Reggio Emilia, dicembre 1987. In una location incredibilmente vuota (saremo stati in 300 persone a stare larghi), i Black Sabbath sciorinano uno show memorabile, con un'acustica perfetta ed un Tony Martin perfettamente a proprio agio non solo sui brani di "Eternal Idol", ma anche in quelli del periodo Ozzy e Dio. L'album vende pochissimo, ma rappresenta la prima pietra di un'epoca forse poco celebrata, ma molto apprezzata.


ALESSANDRO ARIATTI 




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