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ROGER WATERS "AMUSED TO DEATH" (1992)



Come "Animals" dei Pink Floyd prendeva spunto da La Fattoria Degli Animali di George Orwell, con Waters che suddivideva il genere umano tra "cani, maiali e pecore", a seconda delle naturali predisposizioni da bestiario, è ancora una volta un'opera letteraria a dare il via a questo terzo album solista di Roger.

La tempesta perfetta dietro la genesi del disco è rappresentata essenzialmente da due fattori:

1) la lettura di Amusing Ourselves To Death (divertendoci a morte) del pedagogista Neil Postman

2) lo scoppio della prima guerra del Golfo.

Se ricordate, anche "The Final Cut" era pieno di riferimenti all'attualità bellica, con il conflitto delle Falkland a fungere da macabro sponsor. Ne abbiamo parlato proprio nell'articolo ad esso dedicato sul sito. "Amused To Death" non disdegna neppure sguardi all'estremo Oriente, con i fatti di piazza Tien An Men denunciati da ampi servizi alla televisione, ma che vengono visti dallo spettatore occidentale quasi si trattasse di intrattenimento a buon mercato, alla pari di un qualsiasi programma canonico.

Un po' di zapping, e si passa da un carrarmato che soffoca le proteste studentesche, agli sculettamenti di Non È La Rai, giusto per restare tra le miserie del nostro paese. Tornando all'autore del volume di riferimento del disco, Postman dice: "Ovviamente il fatto che Roger Waters abbia preso come modello un mio libro, ne ha incrementato il livello di popolarità, attenzionandolo anche a persone non propriamente istruite. Non mi trovo nella posizione di criticare lui o la sua musica, ma ovviamente esiste una bella differenza di sensibilità tra l'apprezzamento di quell'album rispetto ad una composizione di Chopin".

La classica puzza sotto il naso dell'intellettuale col paraocchi, insomma: bella gratitudine. "Amused To Death" ha un chiaro significato fin dalla copertina, con la scimmia che guarda la "dea" televisione, quasi sempre foriera di nefaste notizie ed ansie anticipatorie.

E gli ultimi anni di terrore mediatico hanno dimostrato che, almeno da questo punto di vista, le cose sono addirittura peggiorate.

Non a caso, Waters è tornato a far parlare di sé negli ultimi tempi, non solo per i suoi capolavori con e senza Pink Floyd, ma anche per le dichiarazioni costantemente anti narrazione unica. La chitarra di Jeff Beck è la classica ciliegina sulla torta di un album che ben bilancia la verve recitativa di "The Final Cut" con un piglio decisamente più rock oriented.

"What God Wants", ad esempio, viene divisa in più parti, e nella terza si ascolta l'inconfondibile nota acuta di pianoforte che aveva caratterizzato "Echoes", dal passato remoto di "Meddle". Beck, sguinzagliato a piede libero su sette delle dodici canzoni che compongono il disco, sigilla le sue performance con una musicalità guizzante ma greve allo stesso tempo, come da tematiche allegate.

Una produzione rigogliosa, superlativa, attenta ad ogni minimo dettaglio in modo, oserei dire maniacale, consiglia un ascolto ripetuto rigorosamente in cuffia, onde evitare il rischio di perdere sfumature funzionali all'essenza stessa dell'album.

Oltre settanta minuti di denuncia sociale, a volte logorroica, ma che non può assolutamente passare inosservata, nemmeno al più insensibile dei fruitori. Waters esagera un tantino nel suo cantato-recital, ma sappiamo benissimo che trattasi di una costante del post "The Wall" (1979) che va avanti imperterrita ancora oggi: basta sentire l'ultima fatica da studio di inediti "Is This The Life We Really Want?" (al netto del discusso "The Dark Side Of The Moon" redux) per avere un'estrema conferma.

Alcuni sostengono che "Amused To Death" sia uno dei dischi rock più belli degli anni 90, e francamente mi sento di avallare questo giudizio.


ALESSANDRO ARIATTI



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