A gennaio 2025 uscirà il nuovo album dei Labyrinth, dopo quel "Welcome To The Absurd Circus" che ci allietò in piena pandemia ad inizio 2021. Il disco mostrava ancora una volta una band in stato di forma eccezionale, ed il preannunciato "In The Vanishing Echoes Of Goodbye" è già stato presentato dal singolo "Welcome Twilight". La song, oltre ad una struttura musicale/melodica da autentici campioni, affronta scottanti temi di attualità, anticipando probabilmente argomentazioni che verranno ulteriormente sviscerate nel corso del disco completo. Per l'occasione, vado a ripescare la mia recensione di "Return To Heaven Denied Part II", che segnò il ritorno nel gruppo di Olaf Thorsen dopo alcuni anni, nonché l'intervista promozionale assieme ad Andrea Cantarelli. Come sempre, buon tuffo nel passato.
LABYRINTH "RETURN TO HEAVEN DENIED PART II" (2010)
Diciamolo chiaramente, senza possibilità di fraintendimenti. I sequel vanno bene al cinema (e a volte neanche tanto), la musica è un'altra cosa. Quante volte nomi illustri hanno annunciato la parte seconda o terza di questa o quell'opera, per poi beccarsi gli strali di pubblico e critica per la delusione cocente. I nomi sono tanti, troppi, e sicuramente, vista la moda di "ritornare sul luogo del delitto", sono destinati a crescere nel corso dei prossimi mesi/anni. Ecco, "il sogno di mezzo autunno" dei Labyrinth di ricreare la stessa magia di una dozzina d'anni fa con l'indimenticabile "Return To Heaven Denied" non c'entra nulla con questo discorso. Nel senso che Roberto Tiranti e compagni (tra cui il rientrante Olaf Thorsen) sono riusciti perfettamente in un'impresa da molti giudicata impossibile, tanto da ricevere critiche ancor prima dell'uscita dell'album. La solita moda del metallaro italiota, sempre pronto a sparare sentenze quando si tratta di una band tricolore, molto più accondiscendente quando a cadere nella stessa tentazione è la celebrata band proveniente dall'estero. Bastano gli arpeggi liquidi dell'iniziale "Shooting Star" al fine di riconquistare il "paradiso negato", per non parlare di quel pre-chorus dove Tiranti usa le proprie corde vocali a mò di violino: fantastico. Il sognante incipit di "A Chance" è il preludio ad una cavalcata speed che si risolve ovviamente nel solito refrain ultra-catchy, oltre a passaggi solisti di chitarra e tastiere a velocità iperbolica. "Like A Shadow In The Dark" è invece uno struggente affresco "autunnale", l'ideale per permettere a Tiranti di mettere alla frusta tutta la sua capacità lirica ed interpretativa. Torna ad alzarsi il ritmo con la power-oriented "Princess Of The Night", soltanto omonima del classico dei Saxon, prima che i Labyrinth si lancino a capofitto nella clamorosa "Sailors Of Time", ovvero quella che potrebbe essere descritta come la nuova "Piece Of Time". Si prosegue con lo speed melodico di "To Where We Belong", con la quale sembra veramente di entrare in una macchina del tempo per planare nell'anno domini 1998. La title-track è soffusa, intimista ed epica allo stesso tempo, una sorta di ballad atipica che da sempre fa parte del DNA di Olaf Thorsen e compagni. “The Morning’s Call” si ricollega idealmente al mitico “No Limits”, con quelle tastiere techno innestate da Andrea De Paoli che “pompano” fino allo spasimo. “In This Void” rappresenta forse l’episodio meno ispirato dell’album, anche se ovviamente la classe esecutiva del gruppo mette fine a qualsiasi tipo di discussione. Gran finale con l’imponente prog-metal di “A Painting On The Wall”, che chiude il cerchio sulle note della vecchia “Falling Rain” in modo intenso ed emozionante. Difficile fare paragoni a caldo anche se, volenti o nolenti, questo sarà il leit-motiv che accompagnerà “Return To Heaven Denied Part 2” nei mesi a venire. Io però mi sbilancio: questo secondo capitolo non ha nulla, ma proprio nulla, da invidiare al suo (giustamente) acclamato antenato. E “questi” Labyrinth sono invecchiati proprio bene: complimenti, ragazzi!
ALESSANDRO ARIATTI
INTERVISTA LABYRINTH: DESTINAZIONE PARADISO
“Return To Heaven Denied Part II” è un album che, già dal titolo, si presta a discussioni e considerazioni varie. Non solo perché si tratta del seguito artistico di un’opera che, a detta di molti, è considerata una pietra miliare del power metal europeo, ma perché vede il ritorno nella band del “figliol prodigo” Olaf Thorsen, reduce dai fasti dei suoi Vision Divine. A parlare del nuovo album e del ritrovato stato di grazia in seno ai Labyrinth è il chitarrista Andrea Cantarelli.
La prima domanda è piuttosto ovvia: qual'è stato il motivo che vi ha spinti a "tornare sul luogo del delitto"? Siete stati voi a proporre la cosa ad Olaf o viceversa?
Andrea C.: Come sempre le cose nascono da una combinazione di eventi e di casualità. Brevemente ti posso dire che alla fine del tour di supporto di “6 Days To Nowhere”, nella band era venuto a mancare quel divertimento che da sempre è stato l’unico vero motivo alla base della nostra attività di gruppo, e decidemmo quindi di dire basta. Dopo qualche mese di astinenza, la voglia di ricominiciare a suonare si è ovviamente fatta sentire. I contatti con Olaf non si sono mai interrotti, soprattutto quelli tra lui e Rob che più volte, ad esempio, hanno condiviso lo stesso palco nella Metal Gang. Rob chiese ad Olaf ed al sottoscritto, quasi scherzando, se avessimo avuto voglia di provare a scrivere qualcosa insieme, ancora una volta. Sia io che Olaf accogliemmo la sua idea con entusiasmo. Inizialmente non sapevamo cosa sarebbe potuto scaturire, o se addirittura potesse nascere qualcosa in termini musicali, nè tantomeno pensavamo ad un nuovo disco dei Labyrinth. Semplicemente ci siamo trovati a scrivere come tanti anni fa, il resto è noto.
Una volta presa la decisione di dare un seguito artistico al vostro album più famoso, come siete riusciti ad accendere nuovamente la scintilla di un tempo, come se niente fosse successo? Tra le altre cose, voi eravate reduci da album piuttosto "diversi" come "Freeman" e "6 Days To Nowhere".
Andrea C.: Come ti dicevo le cose hanno seguito il percorso contrario. Da parte mia di Rob, Olaf e Andrea De Paoli, c’era la voglia di ritrovare le stesse sensazioni di tanti anni prima. La voglia di suonare, bere una birra insieme. Divertirsi insomma. Il punto è che se chiedi a me ed Olaf di imbastire canzoni per un album, l’unico risultato che puoi ottenere è quello che puoi ascoltare nei dischi che abbiamo scritto insieme. La stima, il rispetto e l’affetto tra noi non è mai mancato, anche se magari lo tenevamo per noi senza esternarlo troppo. Lo split avvenne proprio per lasciare a tutti noi la possibilità di seguire la propria strada. Se così non avessimo fatto, probabilmente ci saremmo “scontrati” a vicenda, senza combinare nulla di buono (beh molti potrebbero dire “non avete fatto nulla di buono comunque” ahahahaha). “Freeman” “6 Days To Nowhere” e anche “Labyrinth”, sono frutto del lavoro di una squadra che lavora in sinergia. Ma essendo una squadra “diversa” da quella di oggi e da quella dei primi 3 album, anche il frutto non poteva essere lo stesso. Non abbiamo mai avuto barriere musicali, imposizioni dal mercato da segure. Ci siamo sempre lasciati andare di fronte a quello che nasceva spontaneamente in sala prove, ed anche per questo ultimo lavoro, le cose sono andate in questo modo. Solo dopo aver ascoltato il risultato che è scaturito in fase di scrittura, decidemmo di produrre il lavoro con il marchio “Labyrinth", dando un seguito a “Return To Heaven Denied”, viste pure le evidenti analogie musicali.
Come vanno ora le cose fra voi ed Olaf? Avete superato le incomprensioni di un tempo? Dai risultati dell'album, si direbbe proprio di si.
Andrea C.: Siamo tutte persone con un carattere molto forte e questo è sicuramente un bene, ma spesso (succede anche oggi) porta a confronti diciamo molto diretti. Pur con idee diverse, se si rema insieme si può arrivare a buoni risultati, divertendosi. Limitarsi a vicenda, a fronte di idee musicali troppo diverse, significherebbe mettere a rischio anche la parte umana. Per questo decidemmo di separare le strade e per questo ti posso assicurare che i rapporti personali (gli unici importanti) non si sono mai rovinati, anzi, li abbiamo preservati. Abbiamo avuto la possibilità di fare si che ognuno coltivasse i propri istinti, e dal mio punto di vista sia Labyrinth che Vision Divine hanno ottenuto molto. La realtà è spesso molto diversa da quella che traspare dai giornali, stracci di interviste o molto più spesso “per sentito dire”. Siamo semplicemente degli amici che da 20 anni condividono la passione per la musica. Oggi avevamo voglia di farlo di nuovo insieme.
Tra l'altro, quali furono i motivi che portarono allo split di Olaf dopo "Sons Of Thunder"?
Andrea C.: Come ti dicevo erano motivi di carattere prettamente musicale. Piccole differenze in realtà, alla fine non ho scritto album blues e Olaf non ha scritto album jazz! Ma chi suona in un gruppo sa cosa vuol dire “intesa”...Ai tempi venne un pò a ma mancare e anzichè sforzarci di ricrearla artificialmente, decidemmo semplicemente di seguire strade diverse.
Come vi siete divisi gli oneri compositivi per questo grande ritorno?
Andrea C.: Abbiamo lavorato come un tempo. Io ed Olaf a scrivere la maggior parte della musica, Roberto impegnato nella scrittura delle linee vocali, contando sempre sul preziosissimo aiuto di Andrea De Paoli nella gestione degli arrangiamenti. In realtà i confini sono molto meno netti, tutti fanno tutto, ma se devo riassumere, il succo è questo.
Avete in qualche modo avvertito pressione in fase di scrittura? Il primo "Return..." è considerato un classico del power.
Andrea C.: Assolutamente no. Come ti dicevo è nato tutto in modo spontaneo. Di nuovo, se chiedi a me Olaf, Roberto e Andrea di scrivere un disco, questo è l’unico risultato che puoi ottenere! Certo abbiamo messo un’attenzione maniacale ai particolari, ma alla fine abbiamo giocato davvero molto, a partire dal titolo ed arrivando alla copertina, così come ad alcuni arrangiamenti che richiamano volutamente il primo capitolo. Ma ti assicuro che è stato puro e solo divertimento.
Vuoi soffermarti su alcuni brani del nuovo disco che, a tuo avviso, meglio rappresentano questa nuova versione dei Labyrinth?
Andrea C.: Personalmente trovo che il disco ci rappresenti nella sua interezza, non nelle singole canzoni. E’ sempre stato così, anche in passato. Certo, Return è stato apprezzato dai più soprattutto per brani come “Moonlight” o “Thunder”, ma nel DNA della band ci sono anche altre atmosfere e sonorità, basti pensare a brani come “Heaven Denied” o “The Night Of Dreams”. Parallelamente, nel nuovo album coesistono le diverse sfaccettature della band, dalle sonorità più classiche di brani come “To Where We Belong” o “A Chance”, a brani di atmosfera come la title track, fino ad arrangiamenti al limite dell’hard rock come per “A Painting On The Wall”. I Labyrinth, lo dico dagli inizi, non sono solo una band di power metal, hanno una loro identità e non sai mai cosa puoi aspettarti da noi. Nel bene e nel male. Personalmente sono molto legato a “Princess Of The Night” soprattutto per la parte centrale del pezzo che, come l'assolo, mi rappresenta davvero molto.
Avete recentemente suonato di supporto agli Iron Maiden. Com'è stata l'esperienza? E siete rimasti soddisfatti dal responso del pubblico verso i nuovi pezzi?
Andrea C.: I Maiden sono da sempre la mia band preferita, almeno fino a "Seventh Son...". Tutti quelli che hanno passione per questa musica (lettori, musicisti, addetti ai lavori), possono immaginare quali emozioni abbiamo provato nel condividere con loro lo stesso palco. Suonare la mia musica, vedendo i Maiden ai lati del palco sorridere ed incoraggiarci, non è davvero spiegabile. Il pubblico ha reagito bene; alla fine, è ovvio e sacrosanto, la gente non era lì certamente per noi. Ma credo che siamo stati bravi a non farla annoiare! Ci sono state mille polemiche intorno a questa data, e credo fosse inevitabile, anche se spesso se ne è parlato senza cognizione di causa ed in modo gratuito. Tutto scompare però, quando il pubblico intona il nome del tuo gruppo alla fine dell’esibizione. Con i Maiden.
Come giudichi oggi due album come "Freeman" e "6 Days To Nowhere"?
Andrea C.: "Freeman" è uno dei dischi che a tutt’oggi amo di più. In un mondo fatto sempre più di produzioni platinate, quel disco graffia come pochi. E’ sporco, heavy e grezzo come a volte un disco metal dovrebbe suonare. Peccato che non tutti la pensino come me. Di “6 Days To Nowhere” rimpiango il fatto di averlo scritto in un momento non ideale per la band. Trovo che al suo interno ci siano davvero tante buone idee, il problema è che ce ne sono almeno altrettante meno buone.
Quali furono i problemi sorti con Neil Kernon durante le registrazioni di "Sons Of Thunder"? E cosa pensi a posteriori di quell'album?
Andrea C.: Semplicemente non ci fu quella sintonia tra lui e la band, necessaria per lavorare insieme. Il gruppo, inoltre, non aveva ancora la maturità di gestire la situazione. Ad oggi rimpiango di non aver seguito Olaf nella decisione di allontanarlo da subito, chiedendo al gruppo lo sforzo di arrivare fino in fondo (cosa che poi non avvenne). Lui sicuramente è un ottimo professionista, e lo ha dimostrato producendo album davvero magnifici, ma con noi non funzionò. Succede. Del disco penso un pò le stesse cose di “6 Days To Nowhere”: ottime idee annegate in una produzione che, alla fine, inevitabilmente è risultata scadente: il tutto mescolato ad idee meno buone. Un disco incompleto, a mio modesto parere.
"No Limits" fu a mio avviso un album spartiacque per il metal italiano, sia a livello di personalità stilistico che di professionalità suoni. Che ricordi hai di quel periodo e di quel lavoro?
Andrea C.: Sono passati quasi 20 anni. Il disco uscì nel ‘96 se non ricordo male, ma ovviamente era il frutto di anni di lavoro spesi in sala prove. Quando penso ai miei 16-18 anni, inevitabilmente sorrido. Era un periodo molto meno impegnativo e sicuramente più spensierato. Ero semplicemente un metallaro (giubbotto di jeans senza maniche sopra il chiodo, con toppe e borchie dovunque) circondato da persone fantastiche che condividevano con me le emozioni, belle e meno belle, che quell’età ti regala. Oggi, a parte il taglio di capelli (ad averne come allora) sono contento di essere rimasto lo stesso. Con la fortuna di avere ancora vicino le stesse persone.
Nel periodo di lontananza dai Labyrinth, hai comunque seguito la carriera di Olaf con i Vision Divine? Che ne pensi dei loro album?
Andrea C.: Se ti dicessi di no, mentirei. Ascoltavo con curiosità e divertimento i nuovi lavori di Olaf. Cazzo, volevo sapere cosa stava combinando il mio “gemello”! Dei loro album ho opinioni sicuramente buone; ad esempio “Stream Of Consciousness” lo trovo un disco stupendo. E poi la capacità di Olaf nello scrivere i testi ha pochi uguali, per come la penso io. Certo, sarebbero stati più belli se gli avessi dato una mano a scrivere (scherzo ahahahahahha).
Sei ancora in contatto con Frank Andiver e Fabio Lione?
Andrea C.: Purtroppo no. Io mi sono trasferito dalla Toscana in Lombardia nel 2001 e quindi le occasioni per incontrarci si sono fatte sempre più rare. Certo quando capita è sempre un piacere!
Che ricordi hai del tour a supporto del primo "Return To Heaven Denied", nel quale il ruolo di frontman fu ricoperto dal grande Morby? Sbaglio o l'unica traccia registrata con lui fu la cover di "Die For My Sins" sull'ep "Timeless Crime"?
Andrea C.: Forse uno dei periodi più felici della band. Avevamo realizzato un sogno, quello di partire per una vera tournée grazie alla nostra musica. Morby, ma anche Ross Lukather che sostituì Mat impegnato nel periodo di leva, si rivelarono delle persone davvero splendide, oltre che dei musicisti eccezionali. Peccato appunto per la mancanza di Rob e Mattia: se da una parte Morby e Ross non fecero rimpiangere la loro assenza, dall’altra è inutile negare che la band, per ovvie ragioni, non era quella che avrei voluto avere con me.
Progetti nell'immediato futuro? Credi che la collaborazione con Olaf possa continuare anche in altri album da studio?
Andrea C.: Questo nuovo lavoro era una sorta di “regalo” che volevamo farci dopo tanti anni, e non prevedeva un successore. Ma come si sà, l’appetito vien mangiando e non mi va di nascoderti che siamo già al lavoro nella scrittura di nuovo materiale. Mangiamo delle gran grigliate e beviamo del buon vino, senza pensare alla musica. Poi, una volta arrivati ad un livello di sana insobrietà, si imbracciano gli strumenti e si comincia a scrivere. Aspettatevi il peggio. E al peggio non c’è mai fine.
ALESSANDRO ARIATTI
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