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AMARCORD: MAGNUM "THE VISITATION" (2011)

Questo nefasto 2024 ha visto la scomparsa di molti "nostri" eroi di gioventù: artisti che ci hanno letteralmente fatto innamorare di un suono, di un genere, e di sposarlo vita natural durante. L'inizio dell'anno ha coinciso non solo con l'uscita di "Here Comes The Rain" dei Magnum, ma soprattutto con il passaggio a miglior vita del suo leader e compositore Tony Clarkin. In questa occasione, vorrei recuperare questo mio articolo che accompagno' l'uscita di un loro album del 2011: quel "The Visitation" che può essere considerato, almeno a mio modesto parere, un capitolo a sé stante dell'ultima fase di una band che ha iniziato la propria avventura nei 70's. Buona lettura e buon tuffo nel passato.

I britannici Magnum sono la classica band che non ha mai raccolto quanto seminato. Dischi grandiosi sparsi ormai nell'arco di tre decenni, tra cui autentici capolavori di rock epico come "Chase The Dragon", "On A Storyteller's Night", "Vigilante", "Wings Of Heaven", "Goodnight L.A." e, last but not least, il poderoso colpo di coda intitolato "Princess Alice And The Broken Arrow" (2007). Il successo è arrivato, ovviamente, altrimenti non staremmo ancora a parlare di loro dopo oltre trent'anni di carriera, eppure Tony Clarkin e soci non sono mai arrivati a giganteggiare dall'alto di copertine e classifiche varie. Bisogna tuttavia precisare una cosa: essere oggi una cult-band significa avere dalla propria un pubblico di nicchia sempre attento e appassionato, il che significa pure un "buono pensione" mica da scherzi. Ti garantisce vendite costanti, affluenze ai concerti stabili, ed ovviamente una casa discografica che ti tiene stretto stretto. Già, perchè vendere cd nell'anno domini 2011 è un privilegio che non tutti sono in grado di permettersi, ed i gruppi che ancora lo fanno andrebbero preservati come una razza in fase di estinzione. Se poi, come nel caso dei Magnum, non ci si accontenta del solito tour celebrativo per rimpinguare la cassa in attesa di tempi migliori, ma si cerca sempre e comunque di proporre nuova musica all’altezza della fama conquistata sul campo, allora il merito diventa doppio. Addirittura triplo, perché il quintetto inglese non rinuncia nemmeno a quel pizzico di novità da aggiungere al loro classico, prelibato sound. Ne è un esempio “Black Skies”, opener di lusso di questo nuovo “The Visitation”, che apre le danze su atmosfere insolitamente cupe, “dipinte” dalle tastiere del sublime arrangiatore Mark Stanway, perfetta spalla del tuttofare (in fase di composizione) Tony Clarkin. Il brano è strutturato in maniera insolitamente pesante per gli standard del gruppo, anche se ci pensa l’inconfondibile voce di Bob Catley ad imprimerne a fuoco il trademark. “Doors To Nowhere” si apre su un riffing di synth e chitarra che procede all’unisono, fino alla solita, immaginifica linea melodica, che “bacia” idealmente anche il corposo Adult Oriented Rock di “Wild Angels”. Discorso a parte per la title-track, che rimanda alle pompose stratificazioni orchestrate dagli Angel epici di “The Tower” e “The Fortune” sul finire degli anni ’70. L’uggiosa “Spin Like A Wheel” parte con un feeling dalle tinte umbratili, quasi bluesy, per poi dilatarsi in un chorus inaspettatamente melodico, fino alla conclusione sulle medesime, spigolose note iniziali. L’accoppiata “The Last Frontier” e “Freedom Day” mostra i Magnum maggiormente sperimentali e progressivi, dove a dettare legge sono proprio le tastiere di Stanway, che personalmente vedrei piuttosto bene anche come ingegnere del suono. “Mother Nature’s Final Dance” è il capolavoro assoluto del disco: incipit onorico, intermezzo pomposo, refrain lussuoso e rockeggiante al contempo. Una magia dei vecchi tempi. Più ordinaria “Midnight Kings”, classico hard rock armonizzato con tanto mestiere ed altrettanta classe, ma che non eviterà qualche sbadiglio ai fan più incalliti. Decisamente meglio la conclusiva “Tonight’s The Night”, quasi una versione “Magnum-izzata” dei Queen di Freddy Mercury. In definitiva, “The Visitation” è un album importante, anche perché mostra alcuni segnali di rinnovamento che potrebbero preludere ad ulteriori sviluppi stilistici.

ALESSANDRO ARIATTI




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