Esiste una leggenda popolare in Gran Bretagna: se ti imbatti in una gazza ladra, è meglio che le concedi un saluto, altrimenti potresti incorrere in eventi nefasti. Il blues ed il southern rock, notoriamente, succhiano linfa vitale e creativa dal folklore, trincerandosi in una sorta di "reazionario" stile musicale, impermeabile allo scorrere del tempo ed al "mondo che va avanti". Dio ed armi, recitava il titolo del penultimo disco in studio firmato dai Lynyrd Skynyrd 2.0: quelli portati avanti da Johnny Van Zant, fratello del mai dimenticato Ronnie. I Black Crowes sono i più credibili figli artistici della band di "Free Bird" e "Sweet Home Alabama", ma quando i fratelli Robinson si perdono in litigi "da coltelli", ognuno se ne va per la propria strada. Rich, il chitarrista, è palesemente il più introverso dei due, e lascia spesso i riflettori puntati sull'istrionico Chris, frontman dalla vocalità e gestualità debordanti, ereditate direttamente dai 70's. "Solitamente bisognerebbe rivolgersi al pennuto con un 'buongiorno Capitano', per dimostrare che si viene disarmati ed in pace. La gazza ladra fa parte della famiglia dei corvi, ed il colore è metà bianco e metà nero, simbolo dell'alternarsi tra luce e tenebre. La cosa mi rappresenta molto". Queste le parole di Rich Robinson nel presentare il suo nuovo progetto musicale, denominato appunto The Magpie Salute.
Della "big companion" (inizialmente addirittura dieci elementi!) fanno parte anche due ex The Black Crowes, come il chitarrista Marc Ford ed il bassista Sven Pipien. Ma a fare la differenza è soprattutto il cantante dei Moke John Hogg, straordinaria voce tra rock e soul, che aveva già collaborato con Robinson in una delle sue innumerevoli "avventure", gli Hookah Brown. Rich coinvolge pure Adrien Reju e Katrine Ottosen ai cori, già presenti sulle sue precedenti prove solite, il batterista Joe Magistro ed il tastierista Matt Slocum. The Magpie Salute debuttano "in società" con un omonimo album dal vivo (2017), registrato davanti ad una piccola platea riunitasi agli Applehead Recording di Woodstock. Soltanto il brano "Omission" viene inciso in studio, per il resto si tratta di cover tratte dal repertorio The Black Crowes e di inediti mai più riproposti, ma che riflettono le radici della band, piantate saldamente nel Sud degli States. Viene ripresa persino "Fearless" dei Pink Floyd, spogliata della propria identità britannica per essere sporcata nelle acque del Delta, con quella slide guitar a stravolgerne il significato. Eliminato, of course, il finale da "hooligan" ed il famoso coro calcistico dedicato al Liverpool.
L'ultima apparizione di Eddie Harsch, tastierista di The Black Crowes, avviene proprio su "The Magpie Salute": la sua improvvisa scomparsa è infatti del 2016, così il disco finisce per diventarne quasi una degna commemorazione. Come le grandi band Seventies, fedeli al motto "un disco all'anno", il manipolo di musicisti guidati da Rich Robinson non perde tempo, e nel 2018 realizza il primo vero lavoro di inediti, rilasciando lo strepitoso "High Water I". Il numero lascia immediatamente intendere che vi sarà un seguito, ma ne parleremo successivamente. Ufficialmente The Magpie Salute si snelliscono a quintetto, come testimonia la copertina, ma è soprattutto la bontà del songwriting a lasciare a bocca aperta. La voce di Hogg apre spiragli inaspettati rispetto al più "legnoso" Chris Robinson, iniettando nel gruppo un DNA armonico sconosciuto. Non oso proporre alcun paragone con i The Black Crowes, ma è certo che "High Water I" riprenda esattamente dove si era fermata la loro "evoluzione-involuzione" nel capolavoro "Amorica", con tutto il conseguente carico vintage rock. La battente "Mary The Gypsy" staziona tra Stones ed Aerosmith, la title-track cita abbastanza spudoratamente gli Zeppelin acustici, nel bel mezzo tra una "Four Sticks" ed una "Ramble On". Il passato "nero corvino" di Rich si protrae per larga parte dell'album, con il soul'n'roll di "Send Me An Omen", lo struggente affresco southern di "Sister Moon", il fantastico crescendo di "For The Wind" e "Color Blind". Oltre ai due chitarristi, è John Hogg a fare tutta la differenza di questo mondo: la sua è un'ugola naturalmente melodica e profonda allo stesso tempo, moderna nel suo approccio post-grunge (prendete la definizione nel suo più ampio significato) e classica nei riferimenti stilistici. Come quelli sciorinati nel blues atipico e sofferto di "Color Blind", oppure nel gospel rock di "Take It All".
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