Cronologicamente siamo alla fine della prima guerra mondiale. Una famiglia si riunisce per la lettura del testamento del patriarca da poco defunto: un ricco nobile, alquanto severo, conservatore e (diciamolo) stronzo. Sono presenti nella magione due gemelli, un maschio ed una femmina sulla ventina, ma anche una ragazzina affetta da poliomelite. Una grave malattia scheletrica che verrà definitivamente sconfitta dal vaccino Sabin nel 1955, ma questo è un altro discorso. Durante la lettura, i tre ragazzi arrivano a scoprire segreti inconfessati: i gemelli, ad esempio, vengono a sapere che non sono figli di quello che ritenevano il loro padre, ma di un dipendente della servitù. Una volta scoperto di essere sterile, il patriarca chiese a costui di mettere incinta la moglie, anche se successivamente pensò bene di sbarazzarsi dell'uomo per cancellare ogni sospetto. Allo stesso tempo, la ragazza poliomelitica viene presentata per la prima volta come vera ed unica erede del patriarca, frutto di una storia extraconiugale con la domestica della famiglia. Mentendo alla propria moglie (già deceduta quando il testamento viene letto), il personaggio principale aveva raccontato che la ragazza era il risultato di una storia finita malissimo, e che la famiglia avrebbe dovuto crescerla come se fosse una loro pari rango. Essendo l'unica consanguinea, tocca quindi alla giovane ereditare l'intero ingente patrimonio, lasciando a bocca asciutta i due gemelli. Ma qui arriva il colpo di scena finale, perché nell'ultimo brano "A Story Never Told", l'unico con un titolo che non sia numerato da un paragrafo, si giunge alla lettera della domestica lasciata alla figlia. In essa viene scritto che la ragazza è in realtà frutto di un'altra relazione, e che la domestica ha soltanto fatto credere al patriarca (veramente sterile) che fosse sua, in modo da permetterle una vita agiata e confortevole, nonostante la malattia invalidante. Fin qui il lato lirico/testuale, poi inizia quello musicale. Rispetto a "In Cauda Venenum" (ma in generale a tutti gli album post "Heritage"), il nuovo "The Last Will And Testament" risulta meno logorroico, meno impegnativo nella riproposizione filologica dei pattern legati al vecchio mondo del rock progressivo. I sette paragrafi del "testamento" possiedono una geometria non lontana dalla filosofia Tool: se aggiungiamo il ritorno parziale al growl da parte di Michael Akerfeldt, si capisce immediatamente come gli Opeth abbiano cercato di raggiungere un compromesso artistico tra la prima e la seconda fase. "Ghost Reveries" come riferimento? Non proprio, ma nemmeno ci allontaniamo troppo. La musica fluisce corposa e dinamica, perdendosi forse in qualche barocchismo di troppo, che però viene giustificato anche dalla tipologia di storia e dal rigoroso contesto coreografico. Chi dava gli Opeth per morti e sepolti artisticamente, ormai rinchiusi nella loro comfort zone vintage, sempre pregevole ma anche prevedibile, dovrà per forza ricredersi. "The Last Will And Testament" riapre scorci di ricerca sonora, il che non è esattamente scontato per un gruppo con quasi 35 anni di attività.
ALESSANDRO ARIATTI
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