Passa ai contenuti principali

TIMO TOLKKI: TRA INCERTO PRESENTE ED ILLUSTRE PASSATO


 
Quante ne ha combinate Timo Tolkki? Tante, sicuramente troppe. Ma non è questa la sede per rivangare storiacce che sembrano fortunatamente relegate al passato, nonostante alcune restino veramente di una gravità sconcertante. Colpa del suo disturbo bipolare? L'importante è che il chitarrista finlandese, "responsabile" dell'affermazione planetaria degli Stratovarius, abbia messo da parte certe follie e si sia nuovamente concentrato su ciò che meglio sa fare: la musica. È uscito, per ora solo digitalmente, il tanto rimandato "Classical Variations And Themes 2: Ultima Thule", originariamente annunciato circa una decina di anni fa tramite crowdfunging sotto il titolo di "Credo". Non se ne fece nulla perché, nel frattempo, Frontiers Records lo scritturò come mastermind del progetto Avalon, nonostante la somma raccolta fosse ampiamente sufficiente. Il mio primo contatto con Tolkki non avvenne con gli Stratovarius, che avevano appena pubblicato "Dreamspace", ma con il primo capitolo "Classical Variations And Themes" (entrambi datati 1994). Un'intervista telefonica in cui il guitar hero scandinavo mi annunciava l'entrata nel gruppo di un nuovo cantante (Timo Kotipelto), che lui stesso definì come "un incrocio tra LaBrie e Tate", e che il nuovo album sarebbe stato battezzato "Fourth Dimension".

Acqua sotto i ponti ne è passata tanta, la gloria di allora anche. E pure gran parte della sanità mentale, se mai c'è stata. Detto ciò, le novità in casa Tolkki sono finalmente importanti, non soltanto delle chiacchiere da social puntualmente smentite dai fatti. Anzi, dai "NON" fatti. Iniziamo con quella più importante, ovvero dal nuovo album solista. (finalmente!), "Classical Variations And Themes 2: Ultima Thule". Ci sono due brani cantati da Jeff Scott Soto: la title-track, fortemente debitrice del Malmsteen più "eroico" di "Marchin' Out", ma soprattutto "Faust", una traccia che ricorda proprio i mid-tempo di "quegli Stratovarius là" ma rivisti in ottica moderna. La partecipazione di Jens Johansson alle tastiere amplifica il senso di "Rising Force deja-vu", quando sia lui che Jeff erano compagni di squadra alla corte di Yngwie. Poi tocca a tal Agnes Milewski dar voce a "Soul Of The World", solita nenia new age che Tolkki ha impostato in loop dai tempi del delirante (ma interessante) "Saana: Warrior Of Light". Timo canta invece "Karjalan Kunnaila", un acustico a mo' di fiaba nordica che sembra una di quelle lagne che postava sui social durante le fasi depressive in cui minacciava il suicidio. Come quando intonava i Coldplay in diretta Facebook, piangendo a dirotto dopo la rottura con la "famosa" (???) vocalist messicana Claudia Pearl. Robe da non credere! 

Rispetto al primo "Classical Variations And Themes", i brani non strumentali raddoppiano ma, a parte i due episodi con Soto, sugli altri c'è ben poco da stare allegri. Riguardo al resto del lavoro, sembra di assistere all'ultimo Malmsteen prodotto meglio, con una vena malinconica in più ed una dose di egocentrismo in meno. La perizia tecnica non si discute, ma che palle! Vogliamo stare larghi? Un 6 risicato: merito specialmente dei pezzi con Jeff, ma anche delle movimentate "Tolkien's Tundra" e "Sturmfrei", che finalmente grattano via quella patina autocommiserativa delle varie "Kalevala", "Isa" (praticamente il solo finale di "Destiny" camuffato), ed "Under God's Naked Eye", che pare una track di Beppe Maniglia presentato sul lungomare di Cattolica negli 80's. Ma che ne sapete, voi "non boomers"? Alcune luci, tante ombre, ma del resto non si potevano pretendere miracoli da una persona in quelle condizioni fisiche e mentali. 

Ghiotta news riguardante invece la riesumazione di due demo: uno dell'intero "Fourth Dimension", completamente cantato da Timo Tolkki prima dell'ingresso di Kotipelto, l'altro di "Twilight Time", limitatamente a quattro brani. Entrambi vengono realizzati soltanto tramite la piattaforma bandcamp, ed a differenza di "Classical Variations And Themes 2: Ultima Thule", non è prevista alcuna stampa in formato fisico. Gli amanti della voce di "Timone", rispetto a quella di "Timino", sono paragonabili a coloro che preferiscono Kai Hansen rispetto a Michael Kiske negli Helloween. Chiaro che Kotipelto possiede un range ed una tecnica nemmeno paragonabili ai limitati mezzi di Tolkki, tuttavia la sofferenza e la malinconia espresse dall'ugola di quest'ultimo sono palpabili. Tra presente e passato remoto, un po' di ossigeno per un'artista che sembrava irrimediabilmente "perso" tra i propri demoni. Buone notizie? Diciamo discrete. 




ALESSANDRO ARIATTI
 

Commenti

Post popolari in questo blog

INTERVISTA A BEPPE RIVA

C'è stato un tempo in cui le riviste musicali hanno rappresentato un significativo fenomeno di formazione personale e culturale, ed in cui la definizione "giornalista" non era affatto un termine usurpato. Anzi, restando nell'ambito delle sette note, c'è una persona che, più di tutte, ha esercitato un impatto decisivo. Sia nell'indirizzo degli ascolti che successivamente, almeno per quanto mi riguarda, nel ruolo di scribacchino. Il suo nome è Beppe Riva. E direi che non serve aggiungere altro. La parola al Maestro. Ciao Beppe. Innanzitutto grazie di aver accettato l'invito per questa chiacchierata. Per me, che ti seguo dai tempi degli inserti Hard'n'Heavy di Rockerilla, è un vero onore. Inizierei però dal presente: cosa ha spinto te e l'amico/collega storico Giancarlo Trombetti ad aprire www.rockaroundtheblog.it? Ciao Alessandro, grazie a te delle belle parole. L'ipotesi del Blog era in discussione da tempo; l'intento era quello di ritag...

WARHORSE "RED SEA" (1972)

Sul blog abbiamo già parlato del primo, omonimo album dei Warhorse, band nata dall'ex bassista dei Deep Purple, Nick Simper. Il loro debutto, datato 1970, esce in un periodo abbastanza particolare dove, il beat prima ed il flower power poi, si vedono brutalmente scalzati da un suono ben più burrascoso e tumultuoso. Il succitato Simper, pur avendo fatto parte "soltanto" degli albori (i primi 3 dischi) dei Deep Purple, vede la sua ex band spiccare letteralmente il volo con il rivoluzionario "In Rock", contornato a propria volta da altre perniciose realtà quali Led Zeppelin o Black Sabbath. "Warhorse" suonava esattamente come il giusto mix tra l'hard rock "Hammond-driven" di Blackmore e soci, e le visioni dark di Toni Iommi. Il 33 giri, nonostante l'eccellente qualità di tracce tipo "Vulture Blood", "Ritual" e "Woman Of The Devil", non vende molto. Anzi, contribuisce al rimpianto di Simper di essere stato sc...

LABYRINTH: "IN THE VANISHING ECHOES OF GOODBYE" (2025)

Se quello che stiamo vivendo quotidianamente, ormai da una ventina d'anni, non fosse un fottutissimo "absurd circus"; se esistesse una logica a guidare le scelte della mente umana, divenuta nel frattempo "umanoide"; se insomma non fossimo nel bel mezzo di quel "Pandemonio" anticipato dai Celtic Frost quasi 40 anni fa, i Labyrinth dovrebbero stare sul tetto del mondo metal. Nessuna band del pianeta, tra quelle dedite al power & dintorni, può infatti vantare, neppure lontanamente, una media qualitativa paragonabile ai nostri valorosi alfieri dell'hard'n'heavy. Certo, hanno vissuto il loro momento di fulgore internazionale con "Return To Heaven Denied" (1998), della cui onda lunga ha beneficiato pure il discusso "Sons Of Thunder" (2000) che, ricordiamolo ai non presenti oppure ai finti smemorati, raggiunse la 25esima posizione della classifica italiana. Poi la "festa" terminò, non in senso discografico, perché...