In tema di anniversari perenni (i social delle varie pagine sembrano non vivere d'altro), pare persino surreale che ben pochi abbiano celebrato il ventennale di quello che, a parere di molti "intenditori", rappresenta uno degli album più belli e raffinati dell'intera scena power/prog metal italiana. I Vision Divine di Olaf Thorsen (a quei tempi ancora ex Labyrinth) si trova in una situazione non facile: all'amico Fabio Lione, che aveva cantato sull'esordio omonimo e su "Send Me An Angel", viene proibito di cantare in altre situazioni estranee ai Rhapsody. Ovviamente per i soliti motivi contrattuali. Il chitarrista si trova quindi nella situazione di scovare il nuovo frontman, che viene individuato in una voce più conosciuta per il suo operato in ambiti maggiormente melodici. Michele Luppi, forse anche inaspettatamente, si rivela invece ben presto non solo un degno sostituito rispetto al celebrato predecessore, ma anche quel "quid" in più che sdogana definitivamente i Vision Divine da qualunque collegamento artistico coi Labyrinth. Un'ugola acutissima ma espressiva, ed un lavoro in post produzione letteralmente strabiliante, con quei versi/chorus duplicati, triplicati o quadruplicati: in ambito power, non si era mai sentito nulla di così accurato, profondo ed emozionale. Inoltre, l'occasione discografica è decisamente quella giusta. Perché? Semplicemente per il motivo che Olaf s'inventa un concept unico, suddiviso in 14 capitoli, con un protagonista che si prodiga incessantemente nella "questione delle questioni": scoprire il significato della vita. Una ricerca che, inevitabilmente, lo porterà ad essere rinchiuso tra le quattro mura di un manicomio, con il suo Angelo Custode (figura ricorrente nei Vision Divine) come coscienza e testimone del passato. Ma ha avuto senso rincorrere una simile chimera esistenziale, per poi finire relegato in un'ospedale psichiatrico con una camicia di forza come "outfit" perenne? L'album rivive tutto il percorso che lo ha condannato a queste pietose condizioni, e potete immaginare quanto lo sforzo compositivo della band abbia potuto andare di pari passo col contenuto lirico. Oltre a Luppi, il gruppo viene "rimpolpato" grazie agli ingressi di Oleg Smirnoff (ex Eldritch e Death SS) alle tastiere, di Matteo Amoroso (Athena) alla batteria, ed all'esordio ufficiale in formazione di Federico Puleri, già seconda chitarra nei concerti live. I 14 succitati capitoli funzionali alla storia vedono un gruppo in stato di grazia come non mai, con canzoni quali "Secret Of Life", "Colors Of My World" e "La Vita Fugge" a rappresentare il meglio del meglio (del genere) in quegli anni. Non mancano sporadici ammiccamenti verso il melodic/AOR tipo "Versions Of The Same", ma "Stream Of Consciousness" è realmente uno di quei rari, rarissimi casi dove citare alcuni brani sembra trasformarsi in un torto nei confronti degli altri. Un disco di rara bellezza ed intensità, e se dovessi proprio scegliere un solo titolo del gruppo, personalmente non avrei dubbi sulla scelta. Classico? Nel settore, assolutamente ed indiscutibilmente si!
ALESSANDRO ARIATTI
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