Gli anni 80 si aprono sulle triste ali dello scioglimento dei Led Zeppelin, in seguito al decesso del "martello degli Dei" John Bonham. Probabilmente il mondo musicale non si rende ancora conto della perdita artistica, distratto dall'era dei synth (che persino la band utilizzò su "In Through The Outdoor") e dall'avvento di MTV. Succede però che, negli Stati Uniti, la band sia talmente amata da ispirare ben due radio a trasmettere soltanto musica loro, ottenendo peraltro un massiccio consenso. Una lascia risuonare "Stairway To Heaven" addirittura per 24 ore al giorno: robe folli! Mentre si rincorrono, già allora, voci sulla più attesa reunion del rock mai avvenuta, Plant si affranca sempre di più dagli ingombranti fantasmi del passato, con album solisti assai più distanti dal "modello base". Page prova la carta "Zeppelin 2" assieme a Paul Rodgers nei The Firm, Jones invece sembra accettare che i "glory days" siano definitivamente legati al passato. Nel frattempo, tra la sbornia hair metal in tutte le sue ampie sfaccettature, trovano sempre più spazio realtà che "adattano" il suono del Dirigibile alle rinnovate esigenze commerciali. Sembra una bestemmia, vero? Eppure il successo di "Still Of The Night" dei Whitesnake di "1987" inaugura una nuova via maestra. Heavy rock dalle fondamenta 70's, ma ristrutturato secondo i parametri di produzione ed arrangiamento del tempo. Il punto di riferimento, neanche a dirlo, sono proprio i Led Zeppelin. Plant la prende male, malissimo: arriva a storpiare David Coverdale in David Cover-version, e quando vede comparire l'archetto di violino sulla chitarra (un vezzo live di Jimmy Page durante "Dazed And Confused") nel bel mezzo del videoclip, a suo dire si rotola per terra dalle risate. Se Sir Robert tratta così un ex voce dei Deep Purple, nonché titolare di un marchio di successo straordinario come i Whitesnake, figuriamoci cosa può dire di un Lenny Wolf "qualunque". Già voce degli AOR cult heroes Stone Fury assieme a Bruce Gowdy (Unruly Child), il vocalist tedesco possiede una naturale "predisposizione" Plant-iana. Decide di formare un nuovo gruppo, denominato Kingdom Come, e sulla base di un solo brano trasmesso in radio ("Get It On"), il loro album d'esordio arriva ad oltre mezzo milione di copie in sole prenotazioni! Una roba inaudita: un "hype", come dicono i laureati in social media, che sposa logiche di diffusione del futuro. L'album omonimo esce a ridosso dell'estate 1988, col dichiarato scopo di far piangere di gioia i nostalgici degli Zep, tra richiami a "Kashmir" (la succitata "Get It On") e "Since I've Been Loving You" (la blues ballad "What Love Can Be"). Ci riesce? Figuriamoci. I fans del Dirigibile sono tra i più ottusi del pianeta. E non si accorgono che, esclusi questi due brani, l'album viaggia di vita propria che è un piacere. "Living Out Of Touch", "The Shuffle", "Shout It Out" e "Now Forever After" sono brani splendidamente autoctoni, dove l'unico punto di contatto coi Led Zeppelin può essere individuato nella timbrica di Lenny Wolf: il quale cantava nello stesso modo anche precedentemente con gli Stone Fury, che sicuramente avevano ben altri "modelli" di riferimento. L'album vende moltissimo, nonostante le ironie della stampa e dello stesso Robert Plant, che riserverà lo stesso trattamento anche a David Coverdale quando unirà le forze con l'ex compagno di avventure Jimmy Page nel 1993. Evidentemente è un vizio (capitale), che di nome fa invidia. "Kingdom Come" è l'esempio vivente di come si sarebbero probabilmente evoluti i Led Zeppelin negli anni 80, dopo le sperimentazioni più "gentili" legate all'uso dei sintetizzatori su "In Through The Outdoor", con un batterista come James Kottak (RIP) che avrebbe sicuramente ricevuto la benedizione da John Bonham.
ALESSANDRO ARIATTI
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