Tamàs Katài, padre-padrone del progetto Thy Catafalque, è un personaggio talmente istrionico da risultare praticamente un "unicum" nel panorama del metal d'avanguardia. Nonostante, a volte, le sue composizioni risentano ancora delle dinamiche post Black/Extreme (ne troviamo anche su questo album che, per comodità linguistica, chiamerò solamente "XII"), la sua maniacale passione per la ricerca sonora non può essere ingabbiata in alcun genere. Anche le scelte cromatiche, nel caso della discografia Thy Catafalque, rivestono una propria importanza o, perlomeno, riescono a dare un'inequivicabile indicazione sulle scelte stilistiche di riferimento dei vari album. Il bianco e nero di "Alfold", ad esempio, rivelava appunto l'intento di un disco decisamente unidirezionale, che andava a recuperare la brutalità degli esordi, rinnegando la versatilità del bellissimo "Vadak". La forza di Tamàs, invece, è sempre stata quella di tentare soluzioni ardite, coreografiche e cinematografiche al tempo stesso, unendo metal estremo a tentazioni elettroniche, passando sempre (o quasi) per il folklore della propria terra natia. In "XII", il cui sottotitolo recita "i sogni più belli devono ancora venire", ritroviamo tutto questo, con il polistrumentista Katài nel ruolo quasi di "direttore d'orchestra", perfettamente in grado di gestire e condurre le danze di un album che ha l'unica regola di "non avere regole". Probabilmente non siamo ai livelli di "Vadak", di "Geometria" o di "Naiv", ma quello che sembra sicuro è che l'ormai folta discografia dei Thy Catafalque si arricchisce di un nuovo, prezioso gioiello "ad personam". Ogni traccia fa storia a sé, a differenza dell'impattante "Alfold", eppure si ha sempre (e sottolineo sempre) la sensazione di assistere ad "un film" la cui regia è inequivocabilmente affidata ad una mano sola: quella del "genietto" ungherese. Non uso solitamente parole tanto eclatanti, specialmente nel panorama odierno, ma nel caso di Tamàs ci sta tutta.
ALESSANDRO ARIATTI
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