Non è da tutti avere nella propria formazione due autentiche icone della voce. Come definire altrimenti Peter Gabriel, istrionico e poetico "giullare" dell'epopea Seventies, e Phil Collins, uno dei più rappresentativi simboli della decade successiva? Anzi, un autorevole critico ha scritto che "gli anni '80 non sarebbero mai stati gli stessi senza di lui": gli si può dare torto? Io non credo. Succede però che, dopo il grande successo di "We Can't Dance" (1992), coronato da un lungo e remunerativo tour, Collins decide di lasciare la band. Troppo gravoso far fronte agli impegni solisti e dei Genesis contemporaneamente, così Mike Rutherford e Tony Banks si ritrovano privi di cantante e batterista in un colpo solo. Con un gruzzolo di pezzi già composti, i due iniziano la ricerca per sostituire praticamente "l'insostituibile", anche se lo stesso si diceva a proposito dello split con il carismatico Gabriel. La differenza è che, stavolta, Collins lascia scoperti un paio di ruoli. Come drummer, i Genesis superstiti puntano su due nomi: il primo risponde al nome del carneade Nir Zidkyahu, il secondo al ben più noto Nick Di Virgilio, direttamente dagli Spock's Beard. Dice quest'ultimo: "Phil è ancora oggi il miglior batterista che io abbia mai ascoltato. Come John Bonham portò il groove nel rock, così Collins introdusse lo swing nel progressive rock: ogni volta che ascolto 'Selling England By The Pound', resto a bocca aperta. Fui molto deluso quando Mike e Tony decisero di andare in tour con Nir, ma evidentemente le cose dovevano andare così".
Ben diversa la scelta del frontman: inizialmente il manager della band lo individua in Kevin Gilbert, anche produttore e musicista già esperto. Nel momento in cui il dado sembra essere tratto, giunge però la notizia del suo decesso, che manda in fumo i piani previsti. Logica vorrebbe che tocchi a Fish, ex leader dei Marillion, ricoprire il ruolo, ma evidentemente il gruppo non vuole essere accusato di cercare un "sosia" di Peter Gabriel. È così che viene ingaggiato Ray Wilson, pure lui scozzese e già voce dei Stiltskin, band che aveva vissuto i propri cinque minuti di popolarità col brano "Inside", utilizzato per uno spot Levi's.
"...Calling All Stations..." esce a fine estate 1997, ed il risultato è il disco che non ti aspetti. Via i testi ironici di Collins, via i voli pindarici dell'era dorata del prog, le tematiche si fanno più intimiste e "reali", toccando tasti delicati come l'isolamento e la difficoltà di comunicazione tra esseri umani. D'altra parte, siamo negli anni '90, non c'è spazio per i sogni dei 70's o per la spensieratezza degli 80's. Musicalmente parlando, l'album resta invece legato al decennio precedente, con le keyboards di Banks e la guitar di Rutherford che lavorano di cesello come nella magnifica title-track, oppure nel brano maggiormente neo-progressive "The Dividing Line". Pare quasi di ascoltare gli Asia del periodo John Payne, col loro rock melodico e suadente che spinge più dal lato emozionale rispetto a quello meramente spettacolare.
La stessa copertina vuole trasmettere un sentimento di angoscia, come il naufrago descritto appunto nella traccia che battezza il titolo del disco nei suoi reiterati messaggi di soccorso. "Congo" è il primo singolo, ed in effetti le tonalità diventano più solari, comprese le linee melodiche di Wilson. Il cantante conferma la sua efficacia in "Shipwrecked", ballad struggente ed orchestrale che richiede una vocalità "dimessa" per esprimere tutto il suo tasso malinconico. Se "Alien Afternoon" risulta una delle canzoni meno coinvolgenti del lotto nonostante la maestria di Banks, "Not About Us" bissa le delicate armonie della succitata "Shipwrecked" senza ricorrere ad eccessivi formalismi. Sicuramente più stucchevole "If That's What You Need", ma la successiva "Uncertain Weather" si rivela un'altra piccola perla di classe esecutiva, così come il blues rock intinto nell'elettronica "Small Talk". Un tappeto di tastiere illumina "There Must Be Another Way", nella quale Ray distende tutto il suo range in un vibrato possente, infine la lunga "One Man's Fool" propone delle lyrics che quasi anticipano gli attentati del nero Settembre 2001. "...Calling All Stations..." ottiene un buon successo in Europa, però manca abbastanza clamorosamente il bersaglio americano, tanto da costringere i Genesis ad annullare date USA già schedulate. Dice Wilson: "Firmai un contratto che prevedeva due album, ma Mike non trovò la forza di comporre un seguito. Posso capirlo: non è facile passare da 15 milioni di album venduti a 2 e mezzo. Però fu un vero peccato non registrare un follow-up, perché dopo il tour diventammo una vera e propria band". Un'impressione confermata dalle parole di Rutherford: "Avevo già i The Mechanics, e non me la sentii di imbarcarmi nel processo creativo di un altro Genesis. So che Ray e Tony avrebbero voluto continuare, ma io non me la sono sentita". La cosa più curiosa è che "...Calling All Stations..." verrà ricordato, con ogni probabilità, come l'ultimo album da studio di una band che ha scritto la storia. E, nonostante la militanza di due voci leggendarie (Gabriel e Collins), l'ultimo "messaggio al mondo" sarà quello del terzo incomodo (Wilson).
ALESSANDRO ARIATTI
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